giovedì 5 marzo 2009

L'ambasciata


Mi è sempre piaciuto pensare che il canto più importante dell’Iliade (che sto rileggendo a tratti e se non sbaglio al Galvani non abbiamo mai studiato per esteso) sia il nono, quello dell’ambasciata ad Achille. I fatti antecedenti sono noti: Achille offeso da Agamennone - come e perché lo ricorderete - si è ritirato dalla guerra e per i greci la faccenda si fa dura. Agamennone si pente e Nestore suggerisce di mandare ad Achille tre ambasciatori: Ulisse, l’abile diplomatico, Fenice il vecchio aio e Aiace, l’emulo senza invidia. Il discorso “ufficiale” è quello di Ulisse che parla per primo, espone i fatti, la richiesta di aiuto, l’entità del premio morale e materiale. Ma l’esposizione è fatta in modo da far apparire irragionevole l’atteggiamento di Achille. Tutti gli achei sono sul punto di perire non solo Agamennone, e fra questi vi sono molti amici suoi. Intervenga dunque prima che sia troppo tardi e per ciò che riguarda Agamennone si ricordi delle parole del padre Peleo “Gli dei potranno dare o non dare la vittoria ma l’agir bene dipende solo da te Achille”. Qui c’è l’affermazione del concetto base della civiltà greca, al quale si devono attenere gli uomini se vogliono convivere in una società civile: il concetto della temperanza e della benevolenza. Non si può vivere con gli altri se non freniamo il nostro istinto di prepotenza, non comprendiamo i bisogni e i diritti degli altri e non ne scusiamo le colpe quando c’è la volontà di emendarle. Tutti sbagliamo trascinati dalle nostre passioni, tutti abbiamo bisogno d’indulgenza. L’importante è riconoscere i propri errori e porvi rimedio come vuol fare Agamennone. E se ciò non bastasse per Achille, si convinca almeno per l’attrattiva delle gloria: un’azione grande, difficile e benefica che concede a chi la compie di vincere la morte dandogli fama eterna. E Achille comincia col rispondere a questo, lui cresciuto in una società feudale, tipico rappresentante di una mentalità aristocratica secondo cui gli uomini non sono tutti uguali, ci son quelli nati per comandare e quelli nati per servire. Lui però non vuole privilegi perché è il figlio di un re e di una dea, ma perché è il migliore di tutti. Dovremmo noi dire che è il migliore in una delle attività umane, la guerra, ma questa attività allora era considerata la più importante di tutte quindi lui si stima ed è stimato il migliore di tutti. Esser valoroso è il suo destino e mai si era risparmiato per non essere inferiore alla sua sorte. Si aspettava onori e fama, invece è stato offeso, offeso da uno più potente di lui benché non abbia i suoi meriti, e nessuno ha cercato di impedirlo, nessuno ha protestato. Allora gli cade come un velo dagli occhi: quello in cui sempre aveva creduto non è vero: non è vero che i migliori vengano sempre onorati e i meriti vengano riconosciuti e premiati. Non giova combattere, mettere la vita in gioco perché il vantaggio va uno solo o a pochi immeritevoli quanto lui. Meglio pensare e sé, alla propria felicità privata lasciando che le cose vadano come vadano, magari alla rovina. C’è un forte disinganno: questo è il dramma di Achille: ha creduto profondamente in un ideale, per il quale ha sacrificato tutto e ora si accorge di esser corso dietro a un’ombra. E il suo sdegno è pari alla grandezza della sua illusione, Ulisse gli parla di gloria e la sua collera scoppia. La gloria non esiste, combattere tra i primi o gli ultimi è lo stesso, è lo stesso essere prode o vile, gli uomini non fanno differenza. Ha conquistato con le navi 12 città, ne ha conquistate 11 combattendo a terra, che vantaggio ne ha ricavato? Ha perduto Briseide, che è andata ad Agamennone, tutto il bottino è andato ad Agamennone che non ha mai fatto nulla. Perché restare qui? A Ftia lo attende una vita lunga e felice, se rimane la sua vita sarà gloriosa, ma breve. Tre giorni di mare bastano per tornare a casa. Domani partirà.
Ulisse ha cercato di convincerlo, Fenice cerca di commuoverlo, ma la risposta di Achille al vecchio aio è brusca: i miei nemici devono essere i tuoi, non cercare d’ingraziarti Agamennone, rimani qui a dormire domani decideremo se partire. Aiace infine parla brevemente: egli è il più “semplice” e non capisce tanta ostinazione: cos’è accaduto dopo tutto ? Agamennone ha offeso Achille, ora si è pentito e vuole riparare. Gli ha portato via una fanciulla e ora gliene offre sette. Che vuole dunque Achille? La risposta anche qui è breve: Aiace ha ragione ma egli non può fare altrimenti. Non combatterà fino a che i troiani e Ettore non giungano, dopo aver massacrato i greci e bruciate le navi, davanti alla sua tenda e alla sua nave. Nel colmo della collera aveva detto a Ulisse che sarebbe partito l’indomani, a Fenice che domani avrebbe deciso e ora dice che combatterà, anche se solo quando sarà in pericolo direttamente. Il suo destino è segnato: non giungerà a Ftia dopo tre giorni di mare, cadrà giovane e glorioso nella piana di Troia.

Ci sono dunque in questo canto considerazioni generali sulla vita, sul bene e sul male, sul dolore e sulla felicità che valevano allora come valgono oggi. Credo che a tutti sia capitato di subire ingiustizie e di non vedere riconosciuti i propri meriti. Parecchie volte mi sono chiesto se valeva la pena, chi me lo faceva fare e via discorrendo. Le disillusioni sono antiche come la guerra di Troia e l’uomo non è poi cambiato tanto da allora. Resta un’opera immortale ed è un piacere riscoprirne i particolari.
A proposito, avete visto il film Troy qualche anno fa? La cosa più notevole è Diane Kruger, l’attrice che fa Elena. Forse meriterebbe un post su “Esiste qualcosa per cui varrebbe la pena perdere tutto”!

5 commenti:

Massimo F. ha detto...

Questo me lo leggo e lo commento con calma, magari nel fine settimana :-)

massimo p. ha detto...

un piccolo commento al volo, veloce veloce:
Claudio scrive: "l'uomo non è poi tanto cambiato da allora"
Ma l'uomo non è cambiato affatto, nè da allora, nè da età anche più antiche!!. I comportamenti, i pensieri, le azioni degli uomini sono sempre uguali, fin da quanto esiste la razza umana. Nelle mie letture storiche mi sono imbattuto in continuazione in azioni e comportamenti degli uomini dei secoli passati perfettamente identici a quelli di noi moderni (noi ci definiamo moderni, ovviamente, ma mi fa sempre un certo effetto leggere, nelle opere di autori della tarda antichità o del medioevo, affermazioni tipo "noi moderni" o "nei nostri tempi moderni").
Un ultimo appunto per quanto riguarda Troy: l'ho già scritto in un altro intervento in questo blog: un film bruttissimo, da dimenticare (ed infatti mi sono dimenticato anche gli attori -e le attrici- protagonisti).

Massimo F. ha detto...

Argomento intrigante :-)
A me Achille è sempre stato sulle scatole, mentre ho sempre ammirato Ulisse. E' vero che lo spirito dell'Uomo è rimasto sempre inalterato e che nel tempo le pulsioni di base restano le stesse. Ma, forse, qualche evoluzione c'è stata. Non è detto che sia stata in meglio. Achille, per me, rappresenta il prototipo dell'Uomo antico, magari era un homo sapiens, ma Ulisse sicuramente fu un homo sapiens sapiens ;-)
Ingiustizie. Sì, le abbiamo subite e le subiremo tutti. Credo però che, quando si trarranno i conti finali, il dare e l'avere farà un pareggio e la differenza sarà stata in ciascuno di noi l'essere riusciti a capitalizzare i momenti positivi ed a evitare le conseguenze più negative di quelli peggiori.
Il film non l'ho visto e, dati i commenti, penso che non lo guarderò neppure in televisione. Della Kruger ho visto qualche fotografia. Sicuramente una bella donna. Del resto, per interpretare Elena, la donna più bella del mondo, non potevano mica chiamare Marisa Laurito o Luciana Littizzetto ! ;-)

claudio ha detto...

Il film se si prescinde completamete dal poema lo si può vedere come semplice film d'azione con scene spettacolari tipo, per rimanere sull'epico, Il Gladiatore o 300. La Kruger è un mio "pallino" che potete ammirare per esempio anche in Triplice Inganno e nei due film con Nicholas Cage Il mistero dei templari e Il mistero delle pagine perdute, nessuno dei quali comunque passerà alla storia della cinematografia...

Anch'io ho ammirato Ulisse, ci mancherebbe, pensate che l'unica parte di Dante che posso ancora ricordare a memoria è il XXVI canto dell'Inferno appunto. Ma non dimentico l'Ulisse di Pascoli che perde la fermezza d’animo e la solidità interiore che gli aveva dato Omero divenendo una sorta di emblema dell’uomo moderno tormentato da crisi di identità e dalla caduta delle certezze. In effetti Pascoli va in controtendenza nella letteratura italiana, nei Poemi Conviviali trasforma Ulisse da eroe mitico a disadattato sociale! Beh, io per la verità non ho mai amato Pascoli ;-) ma questa parte sulla fine di Ulisse che finisce la sua vita cercando la verità dalle Sirene mi ha sempre intrigato:
E la corrente rapida e soave
più sempre avanti sospingea la nave.
"...E il Vecchio vide un grande mucchio d'ossa
d'uomini, e pelli raggrinzate intorno,
presso le due Sirene, immobilmente
stese sul lido, simili a due scogli.
Vedo. Sia pure. Questo duro ossame
cresca quel mucchio. Ma, voi due, parlate!
Ma dite un vero, un solo a me, tra il tutto,
prima ch'io muoia, a ciò ch'io sia vissuto!
E la corrente rapida e soave
più sempre avanti sospingea la nave.
E s'ergean su la nave alte le fronti,
con gli occhi fissi, delle due Sirene.
Solo mi resta un attimo. Vi prego!
Ditemi almeno chi sono io! chi ero!
E tra i due scogli si spezzò la nave..."

Massimo F. ha detto...

Pascoli fu un romantico decadente ... e si vede !
Le sue poesie mi hanno sempre intristito (non come quelle del Leopardi, però ;-) e, per carattere, ho sempre preferito quelle "robuste" del Carducci, del Manzoni (il mio preferito) o anche del Foscolo che, al di là del tema ricorrente della morte, aveva energia da vendere e non stava ad aspettare il destino, ma combatteva per le sue idee.
Anche nella citazione che riporti il Pascoli come immagina Ulisse ?
Vecchio, con un piede (se non entrambi) nella tomba, stanco, dubbioso.
Ben diverso dall'uomo scaltro ed energico che abbiamo conosciuto in parte nell'Iliade ma ancor più nell'Odissea.
Ecco Pascoli mi fa venire in mente una società/civiltà alla fine, Omero una società/civiltà in fase ascendente.