Ogni organizzazione grande o piccola
che sia, da uno stato ad una bocciofila, funziona in quanto chi
comanda è in grado di esercitare il suo ruolo.
Tanto maggiori sono i passaggi
burocratici, parlamentari, compromissori che un provvedimento deve
svolgere, tanto minore è la sua efficacia.
Insomma una precisa gerarchia con un
vertice in cui, alla fine, uno e uno solo comandi è il segreto di
una efficiente azione amministrativa.
Io mi ricordo, prima delle leggi che
trasformarono le società di calcio in spa e poi (legge
Meandri) anche eliminando il limite della mancanza di finalità di lucro,
come erano gestite le società di calcio.
Poche manfrine, il presidente
comandava, vendeva e comprava giocatori, non aveva obbligo di
redigere bilanci con particolari parametri e scadenze e se le cose
funzionavano, poteva anche guadagnarci, se non funzionavano perdeva e
anche tanto.
Poiché però nello sport uno vince e
tutti gli altri perdono, per quanto la vittoria fosse maggiormente
ripartita tra le varie squadre principali, c’erano sempre pochi che
guadagnavano e tanti che perdevano.
Da qui la definizione dei presidenti
delle squadre di calcio come “ricchi e scemi”, ricchi perché
dovevano avere un robusto patrimonio per compare e gestire una
squadra, scemi perché quel patrimonio era destinato ad essere
intaccato pesantemente dalla passione.
Quel presidente è stato mirabilmente
interpretato da Alberto Sordi ne Il presidente del Borgorosso
Football Club.
Anche adesso chi detiene una squadra di
calcio deve avere un robusto patrimonio, anche se con la storia della
spa, risulta impegnato solo in quanto prestatore di garanzie
personali.
Vi sono anche limiti imposti dal
politicamente corretto (come le limitazioni agli acquisti ed agli
ingaggi) sistematicamente violati che incidono solo come paravento
per chi non vuole più spendere e trova in essi un comodo salvagente
dalla rabbia dei tifosi.
Tifosi che, da parte loro, non spendono
nulla se non il biglietto per lo stadio o l’abbonamento alla
televisione, ma coprono di insulti chi ci mette del suo se i
risultati non vengono.
E’ il caso del Bologna.
Dopo il tentativo dell’azionariato
diffuso, fallito, seguito alla meteora Porcedda, il Bologna è
finito, come doveva essere, nelle mani maggioritarie di un solo
soggetto, Albano Guaraldi.
Non so cosa avesse in mente,
sicuramente era convinto di potercela fare, ma aveva fatto i conti
male e così il Bologna si è ritrovato in crisi e, con la
retrocessione, Guaraldi è andato in debito di ossigeno (pagheremo
per tale ragione anche un punto di penalità per il ritardato
pagamento dell’irpef sugli stipendi dei calciatori).
La piazza si è rivoltata e Guaraldi ha
cercato compratori.
Si sono presentate alcune cordate
respinte perché Guaraldi non le riteneva adeguatamente garantite.
Molto avanti è andata la trattativa,
quasi chiusa, con gli “Americani” (Joe & Joy) che avevano
saputo conquistare il sostegno della piazza con una accattivante
marketing sostenuto dal quotidiano della Città (il Carlino) .
Alla fine è arrivato il Re del Caffè,
Massimo Zanetti, che ha sottoscritto l’intero aumento di capitale,
prendendosi la maggioranza e dando al Bologna, per la prima volta
dopo molti anni, una guida certa, stabile e con le spalle forti, cioè con il portafogli ben fornito.
Incredibilmente i tifosi non hanno
gradito.
Ma io preferisco Zanetti agli
Americani.
Preferisco un presidente che,
mettendoci la faccia, sia, se non del posto (Zanetti è di Treviso) ma
con interessi anche a Bologna, piuttosto che personaggi che non hanno
alcuna radice a Bologna.
I loro milioni, in mancanza di meglio,
sarebbero stati i benvenuti, ma chi ci garantisce che alle prime
difficoltà non avrebbero mollato tutto ?
Per Zanetti, invece, mollare sarebbe
più difficile e se lo facesse (personalmente non ritengo concluse le
vicende societarie) avrebbe tutto l‘interesse a cedere il Bologna in
mani sicure e non ad un improvvisato presidente.
Sì, perché un magnate dell’industria,
che sia del caffè o delle mozzarelle non importa, ha creato il suo
impero grazie alla capacità di comandare che implica di scegliere
gli uomini giusti per gestire i vari settori della sua attività.
Zanetti ha dimostrato di saper
esercitare l’arte del comando e anche nel calcio ha individuato il
suo uomo di settore cui delegare l’azione che dovrà riportare il
Bologna in serie A e, magari, far cessare i campionati sconsigliati
per deboli di cuore che abbiamo avuto dal 2008 ad oggi.
E’ un bene che Bologna abbia
ritrovato Zanetti, a prescindere dal tempo che vorrà restare in
questo settore.
Potrà dare alla società quella
stabilità che un bravo amministratore può garantire anche per quando lui non sarà più tale.