sabato 16 luglio 2011

la fine di un'era


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Con la missione di Atlantis STS 135, attualmente in corso, si chiude l’era degli Space Shuttle, esattamente a 30 anni dal suo inizio (12 aprile 1981)

Lo Shuttle ha rappresentato un’evoluzione fondamentale nell’astronautica, in quanto si è passati dalle più o meno rudimentali capsule a perdere installate nell’ogiva di un missile ad un’astronave vera e propria, interamente riutilizzabile: insomma, un mezzo di trasporto con la stessa identica dignità di tutti gli altri mezzi di trasporto costruiti dall’uomo per muoversi sulla superficie terrestre e sull’acqua, nell’aria e sotto l’acqua….

La storia dei mezzi di trasporto è caratterizzata dalla continua, costante evoluzione della macchina, sempre più perfetta, efficace e sofisticata; non si è mai verificata nemmeno una stasi, una battuta d’arresto nello sviluppo tecnologico, figuriamoci addirittura un’involuzione !!

Invece è esattamente quello che succedendo in campo spaziale.

L’amministrazione Obama è in pieno marasma per quanto riguarda il settore spaziale: senza idee, senza programmi, senza lo straccio di un piano concreto e credibile per il futuro.

Ad essere sinceri non è tutta colpa di Obama: il danno lo aveva già fatto l’amministrazione Bush quando decise di abbandonare il programma Shuttle (era prevista la costruzione degli shuttle di nuova generazione, i c.d. “Shuttle-C”) per tornare ai razzi a perdere con le capsule nell’ogiva: un salto all’indietro di ben 40 anni !!

Ma almeno, nelle intenzioni di Bush c’era il ritorno sulla Luna: il nuovo programma spaziale varato dalla sua amministrazione, denominato “Constellation” prevedeva la costruzione di razzi e capsule del tutto simili ai mitici “Saturno” e “Apollo” per poter tornare sul ns.satellite (cosa che lo shuttle non era in grado di fare)..

Purtroppo però il programma era partito male, con finanziamenti troppo scarsi per un obiettivo così ambizioso e poi il fatto di abbandonare la sofisticata tecnologia degli Shuttle per tornare indietro di 40 anni era piaciuto a pochi: c’era poco entusiasmo (e tante critiche) negli ambienti della Nasa..

Così, all’arrivo di Obama, la Nasa era già in piena crisi: di idee e di finanziamenti.

A questo punto sarebbe stata necessaria una decisione politica forte e vigorosa per lanciare definitivamente il programma verso il suo ambizioso obiettivo, proprio come fece Kennedy nel suo famoso discorso nel 1961 quando annunciò la decisione di andare sulla Luna.

Ma non siamo più negli anni ’60, è tramontata da un pezzo l’entusiastica, positivista fiducia nei progressi della tecnologia che caratterizzava quel decennio, non c’è più la guerra fredda, non c’è più l’URSS con cui competere, non c’è più Kennedy.

C’è soltanto un’amministrazione senza più idee, in pieno marasma, con ben altre priorità che non l’esplorazione spaziale.

Tutti i programmi spaziali prima o poi finiscono, ma vengono sempre sostituiti da nuovi programmi più ambiziosi ed evoluti:

dopo la capsule Mercury ci furono le Gemini, dopo le Gemini gli Apollo, dopo gli Apollo gli Shuttle (e la Stazione Spaziale), ma dopo gli Shuttle non c’è più nulla.

Di fatto il programma spaziale americano “manned” (da non confondere con l’”unmanned” che –almeno quello- gode ancora di ottima salute) sembra virtualmente cessato.

O meglio, è cessato quello pubblico, governativo: d’ora in poi lo sviluppo del programma, anche se sempre sotto la supervisione della Nasa, è demandato ai privati

Sono da tempo già nate numerose agenzie spaziali private, che, esattamente come le compagnie aeree, si occuperanno del trasporto di persone e materiali da e per la stazione spaziale.

Contrariamente alle compagnie aeree, però, queste nuove agenzie progettano, sviluppano e costruiscono anche le proprie navi spaziali.

E’ questa l’unica speranza che ci rimane per lo sviluppo futuro dell’astronautica “manned”.

Ma i privati sono ancora agli inizi, bisogna di fatto ricominciare la storia dell’astronautica da capo; passeranno molti anni prima che possano raggiungere un livello paragonabile a quello della Nasa dell’era Shuttle.

E poi i privati debbono rigorosamente rispondere ad una logica commerciale, di profitti e perdite: debbono avere dei ritorni economici, non possono certo permettersi bilanci in perdita per periodo troppo lunghi.

Così, addio sogni ambiziosi, addio ritorno sulla Luna (per non parlare di Marte): tutto quello che ci si aspetta è continuare a viaggiare in orbita bassa e sarà già un miracolo se la stessa ISS (la Stazione Spaziale) riuscirà a sopravvivere senza quella manutenzione che soltanto un veicolo come lo Shuttle poteva permettere.

Sembra quasi di essere tornati all’era dello Sputnik, ma senza i sogni, le speranze e la fiducia di quegli anni.


venerdì 8 luglio 2011

cenni storici di un ragguardevole POF


Cari amici,
rispondo all’ invito di Giando e scrivo questo post, sperando non vi siano gli errori che, con l’ età che avanza, per noi del Galvani, sono sicuramente collegati a minor vista e attenzione, entrambe vieppiù mancanti, non ad altro… A dire la verità, un’ acca di troppo, immediatamente addebitata ai motivi di cui sopra, è stata però per me oggetto di accurata indagine: “sarà vicinissima alla a, nella tastiera, mi sono detta”. Invece no, è lontanissima :-)!
Vabbè, chissà se questo scherzo lo avete capito, magari no, ma io, da “prof”, mi sono divertita…
A proposito, visto che il post di Cesco "destra e sinistra" è andato pressoché deserto, mentre io speravo di potere fare sfoggio di commenti ad hoc, non rinuncio a dirvi che, a seguito di -anomala- indagine del commissario di italiano su chi provenisse da un classico e mia risposta affermativa al reiterato appello solo dopo ben tre formulazioni della medesima domanda, sono stata incastrata nella sottocommissione di correzione dei temi! Solo uno studente aveva svolto la traccia “Destra o sinistra” e da quel momento è diventato il mio beniamino. Per la cronaca: gli abbiamo assegnato il punteggio finale in assoluto maggiore, 95/100! Dopo avere fatto, obtorto collo, un’ abbuffata di “bulimia” e di Andy Warhol, mi ha assai gratificato avere contribuito a premiare l’ originalità …
Piuttosto, siamo sicuri che la curva gaussiana c’ entri qualcosa? Per me, no. E sono certa che Massa mi darebbe (come sempre) ragione…
A proposito, visto che il nostro comune denominatore è un illustre Liceo, vi erudisco su alcune curiosità

La storia dell’ attuale Liceo L.Galvani si può far iniziare nel 1551 anno in cui i Gesuiti istituirono a Bologna due classi in modesti locali accanto alla piccola Chiesa Santa Lucia, che era stato il primo nucleo della presenza dell’ Ordine in città.
I collegi dei Gesuiti costituivano una realtà educativa fra le più qualificate in Italia e rispondevano a programmi di studio attentamente elaborati; la loro egemonia culturale nel settore educativo pre-universitario si espresse nel Seicento, quando ebbero la direzione del collegio dei nobili e del Collegio dei Cittadini (borghesi).
Nel 1752, usufruendo dei lasciti di Mons. Zambeccari, venne costituita la Biblioteca che, prima in città, concesse libero accesso a tutti gli studiosi.
Nel 1773 l’ Ordine fu soppresso e i suoi beni passarono ai Barnabiti che continuarono nell’ educazione dei giovani. L’ 11 febbraio 1860 nacque a Bologna il primo Liceo con sede nel “Palazzo delle Scuole”, che attualmente ospita la Biblioteca dell’ Archiginnasio.
Le leggi del 1860 tolsero ai Barnabiti chiese e scuole e, in clima di laicizzazione della cultura e dell’ istruzione scolastica, nell’ edificio si trasferì il primo Liceo-Ginnasio Statale bolognese che assorbì il Ginnasio “Guinizzelli” e prese il nome di Liceo Ginnasio Luigi Galvani
Il Liceo Galvani è stata la scuola di Carducci, Panzacchi, Don Olinto Marella, Della Volpe, Arcangeli,Baccelli, Pasolini

Beh, non male, che ne dite?
Ho trovato queste notizie nel POF del Liceo
POF, per la cronaca, significa Piano dell’ Offerta Formativa ovvero è il documento costitutivo dell’ identità culturale e progettuale di ogni scuola, in cui vengono esposte tutte le attività e i servizi offerti nell’ ambito della propria autonomia.
Nel Liceo Minghetti, antico antagonista sul territorio, non v’è alcun cenno storico. Il che la dice lunga su come debba essere risolto l’ eterno conflitto sulla superiorità dell’ uno o dell’altro…

Comunque, con le scuole, nell’ a.s. 2010-2011 ho chiuso! Si riprenderà a settembre…
La mia maturità si è svolta brillantemente e poiché non abbiamo bocciato nessuno posso non temere ricorsi al TAR… Senonchè, la sera prima dell’ultimo giorno, avevo 38,7 ! Sì, a causa di infiammazione a un dente del giudizio mai nato… Finito l’ incubo, ne è così iniziato un altro: quello dell’ antibiotico, con me che mi aggiravo per casa avvolta da un pile!
Pile, ragazzi, PILE.
Sono a terra, però ho deciso di partire, per assaporare le qualità rigeneratrici dell’ acqua su cui tutti (o quasi) concordiamo.
I proponimenti per l’ a.s. 2011-2012?
Molte letture: comincio da subito.
Minor senso del dovere e maggior senso del divertimento.

In quest'ultimo, includerei un incontro con gli amici del Blog: l’ anno scorso eravamo in cinque, il prox saremo sicuramente almeno dieci
Cominciamo a pensare di fissare una data, che ne dite?
N.B. La partecipazione è sottoposta a un duplice requisito: essere iscritti come blogger in questo blog e avere scritto almeno un post!

Baci e buona estate

Vale

domenica 3 luglio 2011

LATOK I: impresa in corso



In un periodo in cui lo sport in Italia non riesce più di tanto ad interessarmi, vedi soprattutto gli scandali del calcio, la pochezza del basket attuale, il ciclismo sempre nel sospetto del doping, trovo comunque qualcosa da segnalare e perché no seguire con interesse e soprattutto ammirazione, nel mondo dell’alpinismo, che Andrea ben conosce per averlo praticato e di cui io, come già scritto in passato, ho fatto materia di letture approfondite sui classici e più controversi libri. Per presentare degnamente l’impresa cito parte di un articolo del giornalista e scrittore di storie di montagna Giorgio Spreafico:

Quando Jim Donini, Michael Kennedy, Jeff e George Lowe si arrampicarono per la prima volta lassù in stile alpino, anzi in stile capsula, tentarono qualcosa che come pietre di paragone forse (e non è detto) aveva soltanto il Changabang di Pete Boardman e Joe Tasker o l’Ogre di Doug Scott e Chris Bonington. Semplicemente impossibile immaginare qualcosa di più complicato, di più difficile sul piano squisitamente tecnico, e a una quota del genere poi. Come non bastasse, nessuna cordata era mai rimasta prima in parete per ventisei giorni filati avendo con sé cibo solo per quattordici, un po’ per la scelta di non mollare e un po’ per il fatto che a non mollare, e ciascuna per una settimana, erano state anche due spaventose bufere. «Sopravvivenza non scontata» ammise tornando devastato al campo base Donini, al quale una frase del genere era stata ispirata prima solo da un’altra montagna molto ma molto più famosa: il Cerro Torre. Quella squadra straordinaria schierava il meglio che il Nuovo Mondo potesse esprimere in una stagione memorabile del verticale. Gente visionaria capace di appendersi ai palloncini della sua fantasia e di credere possibile il più folle dei sogni, gente però anche concreta proprio come concreti sono il ghiaccio e la roccia, capace anche di mettersi alle spalle cento durissimi tiri di corda prima di rassegnarsi. Epica la scalata, epica la ritirata lanciata a duecento metri dalla vetta, con più solo le energie per tentare di salvarsi. Era il luglio del 1978 e se non sembra ieri è perché da allora è scivolata via una giovane vita. La montagna era il Latok 1, 7145 metri alti e magnifici sul ghiacciaio Choktoi, Karakorum, Pakistan. Una cima scovata grazie a una vecchia foto dei pionieri Eric Shipton e Bill Tillman. La via? La meravigliosa e infinita cresta Nord. Sono passati trentatré anni, ma la montagna e la sua linea magica naturalmente sono sempre lì. La prima, salita una volta soltanto: dal versante Sud, blitz della squadra giapponese di Naoki Takada nell’estate del ’79. La seconda, la cresta, passata indenne attraverso il tiro incrociato e l’assedio di non meno di venti spedizioni. Ci ha provato invano la meglio gioventù alpinistica di mezzo mondo e di più generazioni, ma il risultato non è cambiato. Tutti respinti: altri americani, e poi francesi, polacchi, austriaci, canadesi, norvegesi, inglesi, neozelandesi, argentini, giapponesi. Di più: nessuno è riuscito di salire più in alto della prima cordata, il che già di suo è stupefacente visti i vertiginosi progressi conosciuti da tecnica di scalata e materiali. Mancavano giusto gli italiani, all’appello, ma è arrivato anche il loro momento, e per la squadra che in gran segreto si è coagulata attorno al progetto muovendo da quattro diverse vallate alpine l’aria si è fatta elettrica. E’ stato Ermanno Salvaterra, il trentino indiscusso re del Cerro Torre, uno che sceglie le sue pareti come farebbe un cercatore d’oro, anzi di diamanti, ad essere folgorato da quel nuovo bagliore qualche mese fa (…)

Questa spedizione al Latok, nata “di nascosto” e dall’esito tutt’altro che scontato, comunque difficilmente finirà sulle pagine dei giornali, ma rappresenta lo “sport” (estremo) allo stato più puro. Per questo la seguirò, come seguo Salvaterra da tempo nel suo blog (da cui ho copiato il pezzo di Spreafico) augurandomi che possa riuscire nel duro compito.

Vi terrò aggiornati.

Telefilm specchio della società

Per evitare di trasformare il blog in un lungo necrologio, tanto è naturale che vedremo morire molti dei personaggi che hanno segnato la nostra infanzia e adolescenza, non commemorerò Peter Falk, il Tenente Colombo, deceduto la settimana scorsa.
Anche perchè la continua riproposizione dei suoi telefilm (a braccio direi che siamo ad una dozzina di passaggi ...) lo rende più vivo che mai ... nel nostro immaginario.
Prendo invece spunto da una trasmissione radiofonica di questa mattina (non ricordo il titolo, ore 8,30 circa su Radio Uno) nella quale si proponeva la tesi dei telefilm come specchio della società, più e meglio dei film e della letteratura.
Naturalmente a sostenerlo era un "esperto" del settore che, come ogni oste, dichiara che il suo vino è il migliore.
Ma qualcosa di vero c'è e credo lo possiamo verificare grazie a Fox Retro che, da circa un anno, su Sky propone le vecchie serie di telefilm: Attenti a quei due (Tony Curtis e Roger Moore), Arsenio Lupin, Charlie's Angels, Hazzard, Happy Days, Colombo e tanti altri.
Come non notare la differenza tra il linguaggio di allora e quello dei telefilm odierni sicuramente più sboccati, spesso senza alcuna connessione con la storia ?
E le stesse scene di violenza sono rappresentate con discrezione, per quanto essenziale alla trama, mentre oggi vediamo telefilm, che pure sono piacevoli come CSI, indulgere un po' troppo nella rappresentazione visiva dell'autopsia.
Possibile che una simile decadenza alla perdita di valori della società contemporanea, alla scomparsa della percezione del Bene e del Male, ad una tendenza nichilista che avendo portato a relitivizzare tutto, manca di coscienza del limite al proprio piacere ed interesse.
Spero di sbagliarmi, ma la vicenda emersa la settimana scorsa di quel ragazzo che - dichiarando di non sapere perchè l'avesse fatto - ha ucciso l'amico e, dopo averla legata al letto e torturata, la sorella di lui e sua ex fidanzata, mi sembra tratta, pari pari, da Criminal Minds.