Il 27 gennaio 1971 eravamo poco più che tredicenni, con Pietro che quel giorno ne compiva 14 e per festeggiare andammo al cinema.
Eravamo in quattro o cinque, c'era sicuramente anche Claudio e decidemmo per un western.
Sul giornale avevamo letto di un nuovo film "Lo chiamavano Trinità".
All'Arlecchino.
O era l'Arcobaleno ?
Fatto sta che la madre di Pietro ci accompagnò al cinema prescelto, pieno di locandine di donne discinte.
La mamma di Pietro, con grande aplomb, ci domandò: ma siete sicuri di voler vedere questo film.
Noi ci guardammo e dicemmo che no, non era quello che avevamo scelto: mi ero sbagliato, era l'altro cinema.
Infatti andammo là di volata e ci immergemmo nella sala dove le luci si stavano spegnendo.
Un western, comico.
Bellissimo.
Tornammo anche a vedere "Continuavano a chiamarlo Trinità" e poi "Altrimenti ci arrabbiamo" e tutti gli altri.
Il gigante buono, che voleva essere ladro di cavalli, nella parte di Bambino, la "mano sinistra del Diavolo", ma a forza di pugni rendeva giustizia e divorava piatti di fagioli come una leccornia inarrivabile, era Carlo Pedersoli, Bud Spencer, che da ieri cavalca nelle praterie del cielo.
In un'epoca in cui attori e, in genere, tanti uomini dello spettacolo sono pessimi esempi anche e soprattutto quando si atteggiano a guide del popolo, i film di Bud Spencer (e Terence Hill) senza avere la pretesa di insegnare nulla a nessuno, ci facevano passare (e continuano a farci passare) due ore spensierate, in allegria e iniettando una forte dose di ottimismo e di buon umore.
Se siamo quelli che siamo oggi, a sessanta anni, lo dobbiamo anche ai suoi film, le cui colonne sonore, senza quelle pretese intellettualoidi che tanti presunti "artisti" millantano, hanno scandito parte della nostra adolescenza.