Quando vidi per la prima volta sugli scaffali della libreria "Il tortellino muore nel brodo" tra le novità di tutti i generi e, in seguito, anche la sua continuazione "Gli spaghetti alla bolognese non esistono", credevo si trattasse dell'ennesimo prodotto sull'onda delle trasmissioni di cucina che, con mio grande stupore, hanno ascolti elevati e, ancora peggio, hanno elevato al rango di stelle televisive, con il contorno obbligato di intronizzazione quali maitre a penser di semplici cuochi.
Tra l'altro non condivido lo spirito dei due titoli, perchè a me i tortellini in brodo non piacciono o, meglio, potendo scegliere li preferirei al ragù, tirati fuori dal brodo senza alcuna aggiunta o alla panna.
E non mi si venga a dire che è una eresia, perchè uno ha il diritto a magiare quello che più gli piace e come gli piace.
Che gli spaghetti alla bolognese non esistano, poi, è una sciocca impuntatura purista e, se è vero che si tratta semplicemente di spaghetti con il ragù alla bolognese, non vedo perchè ci si debba sdegnosamente rifiutare di acquisire fama e pubblicità attraverso la dizione "spaghetti alla bolognese", non siamo obbligati a mangiarli e, infatti, io non li mangio.
Grande quindi è stata la mia sorpresa quando, di recente, ho visto i due libri nel settore dedicato ai gialli.
Allora ho letto il risvolto di copertina e apprezzato l'idea del cuoco detective.
Ormai i detective coprono tutte le professioni, dalle bibliotecarie (Aurora Teagarden), alle pensionate (miss Marple), ai ricchi sfondati patrizi dell'Antica Roma (Publio Aurelio Stazio) e via via fino ai cuochi (Gourmet Detective) tutti a fare concorrenza agli investigatori privati, carabinieri, commissari, Fbi, Ncis e via con le più disparate agenzia di polizia.
C'era inoltre l'ambientazione (chiaramente bolognese) e l'offerta per comprare ambedue i romanzi al 50%.
Così li ho acquistati e, adesso, ho finito di leggere il primo.
Deludente.
Una Bologna, sullo sfondo, soporifera.
Personaggi caricaturali, tutti, dai protagonisti detective improvvisati, ai tre rapinatori degni del film Beethoven, ai commissario di polizia ottuso e al suo questore abbaiante, nella più trita interpretazione comune dei ruoli.
Ma, soprattutto, un buonismo diabetico che fa venir voglia di bersi l'Amaro d'Udine a sorsi (per chi non lo sapesse, l'Amaro d'Udine è un amaro fortemente amaro, poco alcoolico, adattissimo a digerire un bue).
Poichè ho comprato anche il secondo volume, prima o poi leggerò anche quello (non si butta via niente), dando una nuova opportunità all'autore, ma solo per solidarietà felsinea.
Insomma, mi pare un'occasione persa per realizzare un buon giallo ambientato a Bologna, con riserva di ricredermi dopo aver letto lo Spaghetto (ma non subito ...).