E’ una bella notizia di ieri che in India la popolazione delle tigri sarebbe aumentata del 12 per cento arrivando sui 1.700 esemplari. Spero e credo a quegli ambientalisti che dicono che potrebbero essere molte di più: nella zona sud del paese dove si incontrano i Ghati occidentali e quelli orientali un censimento preciso è quasi impossibile. C’è di che rallegrarsi visto che si tratta probabilmente di uno dei più begli animali del creato, e allacciandomi al post di Andrea sull’orso vi sottopongo alcune considerazioni. Al momento della fine della dominazione britannica il numero di tigri era stimato a non meno di 20.000, c’è chi parla di 40.000. Le foreste erano ben conservate, la caccia bene o male regolata dagli inglesi e tutta la vita dei selvatici in genere era abbondante. Poi fino al 1972 praticamente non ci furono regole perché la gestione del patrimonio ambientale passò nelle mani di gente che non ne aveva un’idea: bracconieri, industrie del legname che depauperavano le foreste ecc. ebbero via libera e si arrivò a dover proibire totalmente la caccia alla tigre. Per fortuna. Ma troppi errori furono commessi ugualmente. Siamo arrivati a un punto in cui l’uomo non può gestire più con superficialità la tutela delle specie a rischio, la natura una volta che la si è sconvolta va tutelata con misure attive e con giudizio. Un grandissimo numero di cuccioli di tigre (e di leopardo) viene ora ad esempio ucciso dalle mute dei dhole, i “cani rossi” di cui parlava Kipling nel libro della giungla; animali molto astuti e combattivi, totalmente protetti al giorno d’oggi, e che quindi si sono moltiplicati in molte riserve abitate dalle tigri. La tigre ha un periodo di gestazione di poco più di cento giorni e uno stomaco relativamente piccolo: deve cacciare abbastanza spesso, quindi allontanarsi dai cuccioli che restano così indifesi alla mercè dei cani selvatici.
Il bracconaggio (la caccia è ovviamente straproibita) probabilmente non è più un problema così grande in India (altro discorso in Cina o in Russia) come quello dei dhole e soprattutto le conseguenze dell’antropizzazione. L’invasione dei territori della tigre da parte dell’uomo ha fatto sì che si moltiplicassero gli incontri ravvicinati fra i due e prima ancora fra la tigre e gli animali dell’uomo: il bestiame. Nascono così i cosiddetti cattle-killer: tigri che si abituano a predare mucche, pecore, bufali, allevati nei campi a ridosso delle foreste (già ridotte) e così facendo, in maniera per loro predatori del tutto legittima, vanno a toccare nel vivo la di per sé non certo prosperosa condizione economica di quelle popolazioni. Spesso infatti una famiglia, sempre assai numerosa e in cui lavora solo l’uomo, ha come unica ricchezza patrimoniale uno o magari due capi di bestiame la cui perdita spalanca loro le porte della miseria più totale. Nulla importa loro che il responsabile sia di una specie protetta e a sua volta “vittima” di quella situazione: si innescherà una catena di vendetta del tutto umana (siamo noi infatti l’essere più vendicativo) che porterà ad indiscriminati avvelenamenti e intrappolamenti di tutte le tigri (e altro) della regione incidendo pesantemente in quel bilancio già fin troppo in rosso. E’ perciò necessario che il governo indiano, nella persona degli ufficiali forestali, dia luogo a un processo di indennizzi rapidi e certi in tutti questi casi o la situazione potrà solo peggiorare.
Per non parlare poi se un cattle-killer si trasforma in man-killer o man-eater (questa distinzione, credo recente, distingue le tigri che uccidono uomini nelle foreste da quelle che li vanno a predare nei villaggi e addirittura dentro le case). In questi casi, di cui qui da noi poco si conosce, ma ancora nel 2011 capitano eccome (potete cercare su internet nella stampa locale indiana), le azioni/reazioni ovviamente si amplificano ultreriormente. Celebre lo scorso anno il percorso della tigre di Faizabad allontanatasi dalle foreste dell’Uttar Pradesh e penetrata nei campi di canne da zucchero, cacciata e terrorizzata dagli abitanti dei villaggi arrivata fino quasi a Lucknow poi a Faizabad, percorrendo 300 km in qualche mese. Tigre che durante il suo peregrinare ha ferito e ucciso diverse persone fino ad essere dichiarata man-eater e alla cui ricerca si dedicarono invano i migliori veterinari del paese (per anestetizzarla e portarla in uno zoo: la tigre anche se antropofaga, è pur sempre a rischio di estinzione e oggigiorno si cerca fino all’ultimo di salvarla). Tigre che eluse tutte le trappole degli ufficiali del governo e divenne un problema piuttosto serio tanto che quando alla fine fu dato l’ordine di abbatterla e nessuno ci riusciva le stesse guardie forestali se la videro brutta alcune volte ad affrontare l’ira della folla di parenti e amici di chi aveva perso un proprio caro. In 19 villaggi della zona le scuole furono chiuse per mesi e la situazione era quasi disperata. Guardando in Google maps la zona si vede che è comunque densa di case, paesi, strade: sembra incredibile che un animale così grande sia riuscito ad eludere tutti per tanto tempo nell’era della globalizzazione e del digitale. In fondo mi fa piacere pensare che il mondo non sia ancora del tutto “addomesticato” (la storia della tigre di Faizabad ha avuto comunque un epilogo).
In definitiva spero tanto che nei prossimi anni un grande paese come l’India riesca a porre rimedio a tutti questi problemi e a far sì che uno dei suoi simboli più amati si moltiplichi sempre di più portando alle generazioni future l’emozione del suo richiamo nella giungla, il brivido della sua maestosità.