mercoledì 30 marzo 2011

Salvate la Tigre


E’ una bella notizia di ieri che in India la popolazione delle tigri sarebbe aumentata del 12 per cento arrivando sui 1.700 esemplari. Spero e credo a quegli ambientalisti che dicono che potrebbero essere molte di più: nella zona sud del paese dove si incontrano i Ghati occidentali e quelli orientali un censimento preciso è quasi impossibile. C’è di che rallegrarsi visto che si tratta probabilmente di uno dei più begli animali del creato, e allacciandomi al post di Andrea sull’orso vi sottopongo alcune considerazioni. Al momento della fine della dominazione britannica il numero di tigri era stimato a non meno di 20.000, c’è chi parla di 40.000. Le foreste erano ben conservate, la caccia bene o male regolata dagli inglesi e tutta la vita dei selvatici in genere era abbondante. Poi fino al 1972 praticamente non ci furono regole perché la gestione del patrimonio ambientale passò nelle mani di gente che non ne aveva un’idea: bracconieri, industrie del legname che depauperavano le foreste ecc. ebbero via libera e si arrivò a dover proibire totalmente la caccia alla tigre. Per fortuna. Ma troppi errori furono commessi ugualmente. Siamo arrivati a un punto in cui l’uomo non può gestire più con superficialità la tutela delle specie a rischio, la natura una volta che la si è sconvolta va tutelata con misure attive e con giudizio. Un grandissimo numero di cuccioli di tigre (e di leopardo) viene ora ad esempio ucciso dalle mute dei dhole, i “cani rossi” di cui parlava Kipling nel libro della giungla; animali molto astuti e combattivi, totalmente protetti al giorno d’oggi, e che quindi si sono moltiplicati in molte riserve abitate dalle tigri. La tigre ha un periodo di gestazione di poco più di cento giorni e uno stomaco relativamente piccolo: deve cacciare abbastanza spesso, quindi allontanarsi dai cuccioli che restano così indifesi alla mercè dei cani selvatici.

Il bracconaggio (la caccia è ovviamente straproibita) probabilmente non è più un problema così grande in India (altro discorso in Cina o in Russia) come quello dei dhole e soprattutto le conseguenze dell’antropizzazione. L’invasione dei territori della tigre da parte dell’uomo ha fatto sì che si moltiplicassero gli incontri ravvicinati fra i due e prima ancora fra la tigre e gli animali dell’uomo: il bestiame. Nascono così i cosiddetti cattle-killer: tigri che si abituano a predare mucche, pecore, bufali, allevati nei campi a ridosso delle foreste (già ridotte) e così facendo, in maniera per loro predatori del tutto legittima, vanno a toccare nel vivo la di per sé non certo prosperosa condizione economica di quelle popolazioni. Spesso infatti una famiglia, sempre assai numerosa e in cui lavora solo l’uomo, ha come unica ricchezza patrimoniale uno o magari due capi di bestiame la cui perdita spalanca loro le porte della miseria più totale. Nulla importa loro che il responsabile sia di una specie protetta e a sua volta “vittima” di quella situazione: si innescherà una catena di vendetta del tutto umana (siamo noi infatti l’essere più vendicativo) che porterà ad indiscriminati avvelenamenti e intrappolamenti di tutte le tigri (e altro) della regione incidendo pesantemente in quel bilancio già fin troppo in rosso. E’ perciò necessario che il governo indiano, nella persona degli ufficiali forestali, dia luogo a un processo di indennizzi rapidi e certi in tutti questi casi o la situazione potrà solo peggiorare.

Per non parlare poi se un cattle-killer si trasforma in man-killer o man-eater (questa distinzione, credo recente, distingue le tigri che uccidono uomini nelle foreste da quelle che li vanno a predare nei villaggi e addirittura dentro le case). In questi casi, di cui qui da noi poco si conosce, ma ancora nel 2011 capitano eccome (potete cercare su internet nella stampa locale indiana), le azioni/reazioni ovviamente si amplificano ultreriormente. Celebre lo scorso anno il percorso della tigre di Faizabad allontanatasi dalle foreste dell’Uttar Pradesh e penetrata nei campi di canne da zucchero, cacciata e terrorizzata dagli abitanti dei villaggi arrivata fino quasi a Lucknow poi a Faizabad, percorrendo 300 km in qualche mese. Tigre che durante il suo peregrinare ha ferito e ucciso diverse persone fino ad essere dichiarata man-eater e alla cui ricerca si dedicarono invano i migliori veterinari del paese (per anestetizzarla e portarla in uno zoo: la tigre anche se antropofaga, è pur sempre a rischio di estinzione e oggigiorno si cerca fino all’ultimo di salvarla). Tigre che eluse tutte le trappole degli ufficiali del governo e divenne un problema piuttosto serio tanto che quando alla fine fu dato l’ordine di abbatterla e nessuno ci riusciva le stesse guardie forestali se la videro brutta alcune volte ad affrontare l’ira della folla di parenti e amici di chi aveva perso un proprio caro. In 19 villaggi della zona le scuole furono chiuse per mesi e la situazione era quasi disperata. Guardando in Google maps la zona si vede che è comunque densa di case, paesi, strade: sembra incredibile che un animale così grande sia riuscito ad eludere tutti per tanto tempo nell’era della globalizzazione e del digitale. In fondo mi fa piacere pensare che il mondo non sia ancora del tutto “addomesticato” (la storia della tigre di Faizabad ha avuto comunque un epilogo).

In definitiva spero tanto che nei prossimi anni un grande paese come l’India riesca a porre rimedio a tutti questi problemi e a far sì che uno dei suoi simboli più amati si moltiplichi sempre di più portando alle generazioni future l’emozione del suo richiamo nella giungla, il brivido della sua maestosità.

martedì 29 marzo 2011

Dopo DINO la storia continua




Carissimi sono appena ritornato lo scorso week end dal corso di purtroppo soli tre giorni il cui tema era ecologia e gestione dei grandi carnivori europei (orso, lince, lupo) tenuto da docenti di fama internazionale presso la sede C.F.S della Foresta di Tarvisio e proprio in quella sede ho appreso la fine fatta dal nostro (inteso come bellunesi) amico Dino. Intanto che cosa vuol dire gestire e perché è necessario farlo quando si parla di grandi carnivori. Le risposte sono molteplici: prima di tutto bisogna cercare di conoscere meglio questi animali che, a causa della loro rarità ed elusività, sono pochissimo noti da un punto di vista biologico ed etologico; in secondo luogo perché sono specie particolarmente protette dalla Legge che fino a pochi anni fa erano a rischio di estinzione a causa della caccia di frodo e delle esche avvelenate che venivano distribuite allo scopo di eliminarli in quanto considerati dannosi; possono inoltre essere degli animali che diventando troppo confidenti creano problemi agli insediamenti umani in particolar modo agli animali allevati. Obiettivo della gestione, trattandosi di specie protette, è quello di preservarli e fare in modo che la loro popolazione tenda all’accrescimento fino ad arrivare alla stabilità, anche se i risultati saranno visibili fra diversi anni se non decenni. L’importanza e la difficoltà della gestione di queste specie sono enfatizzate in un ambiente fortemente antropizzato come le Alpi, molto diverso dai vasti territori scandinavi o canadesi. I mezzi attraverso i quali si fa la gestione sono ad esempio il continuo monitoraggio sulla effettiva presenza di questi animali attraverso il rilevamento di passaggio che va dalla verifica delle impronte, all’impiego di foto-trappole fino al repertamento e l’analisi di campioni biologici (feci, resti di pasti dai quali estrarre saliva) dai quali, tramite analisi genetiche, risalire all’identità degli individui. Altro sistema di gestione è quello della cattura (tramite trappole, appositi lacci, fucili narcotizzanti, ecc.) ed il successivo rilascio dell’animale opportunamente munito di radio-collare satellitare per studiarne gli spostamenti ed il comportamento (tenete presente che questi animali si spostano dalla Slovenia fino alla Germania senza difficoltà percorrendo anche 50 km a notte). In alcuni stati alpini come la Slovenia, l’Austria, la Germania e la Svizzera è pure ammesso come metodo di gestione l’abbattimento di quegli animali problematici che, divenuti troppo confidenti con l’uomo, tendono a privilegiare nelle loro predazioni gli animali domestici. La motivazione che viene data a questo tipo di abbattimenti è quella di calmare psicologicamente gli allevatori prevenendo la caccia di frodo od ancora peggio la distribuzione di esche avvelenate affermando che è meglio sacrificare un individuo per salvare la popolazione. Altri sostengono che è meglio lasciar fare alla natura il suo corso: in questa maniera però si concede spazio anche a chi, e sono tanti, considera questi animali una minaccia. In Trentino alcuni anni fa è stata catturata un’orsa (Jurka) problematica che si stava specializzando nella predazione delle vacche al pascolo ed è stata rinchiusa in una gabbia dove viene ammirata da migliaia di turisti; io non riuscirei mai a tollerare la vista di questo animale nato e vissuto libero che nevroticamente cammina avanti ed indietro in uno spazio limitato: onestamente penso che quel giorno che le hanno sparato il narcotico era meglio se le sparavano piombo. Premesso questo l’orso Dino (M5) era stato catturato la scorsa primavera in Valsugana (TN) e rilasciato dopo essere stato munito di radio-collare sprovvisto del meccanismo di sgancio automatico dopo un certo periodo (drop off) perché i trentini pensavano di poterlo ricatturare in ogni momento per cambiargli il collare quando si fosse reso necessario. In realtà successe che dopo poco il meccanismo di trasmissione degli impulsi radio del collare si ruppe e di fatto si persero i contatti con l’animale che era ripassato dalla nostra provincia (verifica attraverso il DNA raccolto dalle feci) probabilmente per tornarsene verso est. A metà marzo in Slovenia fu notata la presenza di un orso dal comportamento anomalo (sbatteva continuamente la testa contro gli alberi, tremava, si contorceva ecc.) e decisero di abbatterlo perché temevano fosse affetto da rabbia. In realtà quell’orso era Dino che era tormentato dal collare che non potendosi allargare, essendo nel frattempo l’animale cresciuto di dimensioni, gli dava dei grossi problemi: si era infatti incarnito con infezioni ed immagino dolori tremendi (ho visto a prova di quanto dico le foto del collo dell’animale abbattuto). Gli amministratori trentini, appena appresa la notizia dell’abbattimento di Dino hanno fatto una conferenza stampa nella quale criticavano gli abbattimenti come metodo di gestione non sapendo che la causa della morte dell’animale era stato il comportamento anomalo causato dal loro pacchiano errore. Successivamente vi sono state altre conferenze stampa della nostra Provincia, dell’ufficio faunistico sloveno e del CFS dove veniva spiegato al pubblico il perché dell’abbattimento di un animale tanto prezioso e la contrarietà di questi enti all’utilizzo di metodi “invasivi” di gestione come l’uso di radio-collari senza drop off. In realtà noi non utilizziamo radio-collari perché abbiamo notoriamente molti meno fondi a disposizione dei Trentini. È nata una polemica politico-gestionale che sta ancora in questi giorni tenendo banco sui giornali con la richiesta del nostro Presidente all’ente sloveno di riavere le spoglie di Dino da imbalsamare e creare con queste un museo dedicato all’orso. Comunque la buona notizia di questi giorni è che due orsi stanno attualmente scorrazzando sul nostro territorio. Uno è stato identificato nella zona di S.Vito di Cadore ed è un esemplare già presente l’anno scorso di circa 200 Kg di peso che ha probabilmente passato il letargo da noi, l’altro sembra un individuo nuovo di 150 kg che è stato fotografato tramite foto-trappola in Val di Zoldo dal mio collega che aveva già fotografato Dino l’anno scorso. Data l’abilità e la professionalità di questo mio collega, il Presidente ha deciso di chiamare il nuovo orso col nome della guardia che è stato capace più di tutti di fotografare questi animali cioè Cesare. Quindi state tranquilli, Dino non c’è più ma speriamo che dietro questi giovani maschi in dispersione sul nostro territorio possa arrivare presto anche una femmina e partorire i primi orsacchiotti bellunesi. Allego ancora una foto di Dino dell’anno scorso che tanto ha sensibilizzato l’opinione pubblica sulle sorti della sua specie, una foto di Jurka ed un’altra bella immagine di orso bruno europeo.

domenica 27 marzo 2011

Un piccolo grande amico



Cari compagni non immaginavo certo con i miei post di innescare polemiche così accese; il mio intento era ed è solo quello di aggiornarvi su chi sono, che cosa faccio, quali sono i miei sentimenti ed i miei interessi, il tutto esposto con la massima sincerità e trasparenza. Spero che questo post vi faccia apprezzare un piccolo grande animale che allieta le giornate mie e di mia moglie. Quando mi disse che desiderava un cane e che aveva intenzione di prenderne uno di taglia medio piccola, molto probabilmente un bolognese, dato che in precedenza si era trovata bene col sottoscritto, siccome non mi sembrava dignitoso che “un guardia” andasse in giro con un barboncino antipatico e fighetto, ho pensato di chiedere ad un mio collega che alleva cani, ed aveva appena avuto una cucciolata, se mi poteva dare uno dei suoi terrier ancora cuccioli e che lui alleva per scopi venatori. A vedere la mia cagnolina molti la scambiano per un “bastardino” o come dice il mio amico veterinario: “razza fantasia”. In realtà è un cane di razza e che razza….. Infatti questi cani sono stati selezionati a fine 800 dal reverendo inglese James Parson Russell detto Jack accanito cacciatore di volpi. Tradizionalmente in Inghilterra i cani da caccia si dividono in hound (segugi) che inseguono la selvaggina di grande e media taglia riservati alla nobiltà ed in terrier (scavatori) riservati al popolo che inseguono generalmente prede di piccole dimensioni all’interno delle tane per catturarle; infatti la selvaggina nel Regno Unito non è di proprietà dello Stato come in Italia, ma della nobiltà che concede le prede di piccola taglia al popolo. La caccia tradizionale alla volpe a cavallo è fatta principalmente dai cani che lavorano in muta: i foxhounds od i beagles inseguono la volpe fino a che questa non entra nella tana; a questo punto intervengono i terriers (ce ne sono di tantissimi tipi dai foxterrier ai white scottish terrier - quelli del Wisky - che hanno un po’ perso la loro natura di cani da caccia). Il reverendo Parson Russell selezionò due varietà della stessa razza il Jack Russell (a gamba corta che veniva portato dentro delle apposite tasche sulla sella del cavallo e mollato nella tana) ed il Parson Russell (a gamba più lunga che correva in muta con gli altri cani) che si sono subito rivelate come le migliori per stanare il selvatico. Queste due razze, soprattutto il Jack Russell proprio perché di taglia piccola, è diventato recentemente un cane di moda anche per il suo carattere, che come tutti i cani da caccia, può essere anche un ottimo animale da compagnia. La mia cagnetta invece è un Parson Russell (di taglia leggermente più alta), quindi un cane che è anche un ottimo corridore. Personalmente non mi sono mai piaciuti i nomi umani dati agli animali ma, dato che la mia cagnetta ha il pedegree, cambiarle il nome sarebbe stato un po’ laborioso per cui abbiamo deciso di lasciarle il nome umano datole dalle figlie del mio collega al quale abbiamo aggiunto un piccolo suffisso; infatti si chiama Marta(bau). Il nome Marta dato ad un animale mi era inoltre molto simpatico perché mi ricordava il nome della gallina amica di Lupo Alberto. Per capire un po’ il carattere di Marta bisogna pensare alla funzione venatoria per cui la sua razza è stata selezionata; le caratteristiche comportamentali che devono avere questi animali hanno lo scopo di renderli completamente autonomi quando si trovano nelle tane ad affrontare animali aggressivi come volpi, tassi (ferocissimi), istrici oppure ad inseguire o braccare anche prede di dimensioni superiori come caprioli, cinghiali ecc… Per raggiungere questi scopi questi piccoli cani (35 cm-la mia è leggermente più grande) sono dotati di grandi e robusti denti e di un morso molto potente; devono essere velocissimi, determinatissimi, avere un morso che una volta dato non molla mai, non sentire il dolore, non pensare alle conseguenze quando attaccano la preda, avere predisposizione a scavare, essere sempre pronti e reattivi, quindi sempre in attività. Dimostrano inoltre grande aggressività nei confronti degli animali di altre specie (gatti, galline e uccelli in genere, ecc..) quasi mai nei confronti degli altri cani, ma soprattutto, e questa è la caratteristica che li sta rendendo estremamente graditi come cani da compagnia, tanta affettuosità e dolcezza nei confronti degli esseri umani, in particolar modo dei bambini; per la loro grande vivacità sono inoltre dei compagni di gioco instancabili: Marta quando vede dei bambini che giocano a pallone diventa incontenibile ed instancabile. Sicuramente la mia cagnetta ha tutte le caratteristiche proprie della sua razza (sua mamma Aqaba è stata ed è tuttora un cane da caccia unico per capacità) ma è anche di una intelligenza, cocciutaggine, furbizia, affettuosità, esuberanza e vitalità veramente inimmaginabili. Viene regolarmente a fare jogging con me: pensate che dopo 1 ora di corsa (la tengo al guinzaglio perché altrimenti, dato che vado a correre nel bosco, sarebbe attratta ad inseguire gli odori dei selvatici) quando arriviamo vicino casa ha ancora la forza e la voglia di saltare, prendere il guinzaglio e mettersi a tirarlo per gioco, oppure se mi metto a giocare con la palla lei, nonostante la corsa è sempre pronta; quando sono al computer mi salta spesso in braccio perché ama il contatto fisico col suo capo branco (passa anche degli interi pomeriggi piovosi sul sofà con mia moglie a dormicchiare). Quando posso me la porto in servizio a camminare in montagna e spesso mi è utile perché mi segnala la presenza di qualche animale morto nel bosco (ha tra l’altro un ottimo naso). Dimenticavo di dirvi che noi la teniamo come cane di compagnia però il suo istinto di predatrice salta fuori soprattutto quando vede altri animali (tra l’altro in Inghilterra li usano anche per uccidere i ratti meglio di qualsiasi gatto - sono capaci di catturarne ed ucciderne tantissimi in brevissimo tempo – provate a digitare su youtube “terrier rat kill”); sono sicuro che se non la trattenessi e la controllassi di fronte ad un gatto questo farebbe in pochi secondi una brutta fine. Sicuramente non è un cane per tutti perché richiede, come d’altronde tutti i cani, di passare molto tempo coi padroni, di fare molto movimento ed ha bisogno di tanto spazio nonostante sia di dimensioni medio piccole per sfogare tutta la sua esuberanza e vitalità, quindi non è da tenere esclusivamente in appartamento. Però ragazzi, quando arrivo a casa e sente la mia auto entrare nel nostro vialetto, si mette subito all’erta e appena mi vede comincia a scodinzolare fino al punto di tremare dall’emozione e, appena smonto dalla macchina, comincia a saltare come una pazza e a farmi delle feste incontenibili come il suo carattere. Volevo inoltre dirvi inoltre che nei giorni scorsi siamo venuti a conoscenza della vera fine fatta dall’orso Dino che non è esattamente quella esposta da me nel mio post dedicato all’orso. Questa notizia ha causato scalpore nell’opinione pubblica bellunese perché è stata pubblicata sulla stampa e ha causato anche alcuni incidenti politico diplomatici fra le Province di Trento e Belluno coinvolgendo anche la Slovenia, dove l'animale è stato abbattuto. Se vi interessa fatemi sapere e vi relazionerò in un prossimo post.

domenica 20 marzo 2011

Perché la Libia?


Ci risiamo, i venti di guerra soffiano di nuovo sul Mediterraneo e le potenze occidentali hanno iniziato una nuova missione, stavolta sotto il mandato Onu, volta a ridurre Gheddafi a più miti consigli, se non a farlo cadere. Ora, se militarmente il problema non è insormontabile tale è la sproporzione fra gli armamenti schierati, politicamente la faccenda è se possibile più complicata e indecifrabile rispetto a situazioni già viste. Le variabili sono tante: i dubbi Usa (che poi giocoforza hanno preso il comando), la fretta francese (i Rafale erano schierati a Saint Dizier che dista alcune ore dalla Libia quindi, per colpire alle 17.45, sono partiti ben prima della decisione finale Onu, avrebbero attaccato comunque?), la posizione “neutrale” della Germania (ma secondo me è da Ramstein, territorio della Merkel, più che da Napoli che partono le direttive a livello tattico). L’Italia non può stare alla finestra come auspicherebbe la Lega malgrado i nostri accordi con la Libia (del resto resi nulli dal fatto che Gheddafi ha fatto quello che ha fatto) per il semplice motivo che Tripoli è a due passi. Siamo nell'Onu e nella Nato. A posizioni geografiche invertite anche i tedeschi avrebbero dovuto collaborare. E cosa succede veramente in Libia? Uno stato dominato da tante misteriose tribù che non si sono mai amate fra loro. Chi c’è veramente a capo dei ribelli? Che canali hanno attivato con la Francia. Stavolta non vedo un mediatore come Holbrook con Milosevic. E poi, siamo davvero sicuri di voler che Gheddafi sia abbattuto? Come diceva Reagan per Saddam in tempi ormai lontani: è un figlio di puttana, ma è il nostro figlio di puttana. Si è visto cosa è successo dopo lo scià di Persia, dopo l’Afghanistan, dopo Saddam. Ci sono ancora tanti interrogativi a cui cercare una risposta, voi che ne dite?
Mentre stavo scrivendo da Birgi sono partiti anche i primi Tornado.

sabato 19 marzo 2011

Ancora sull'unità d'Italia

Cari amici, innanzi tutto desidero dare il mio personalissimo benvenuto ai nuovi compagni che si sono uniti a noi, sono sicuro che la loro presenza costituirà nuova linfa per le nostre divertenti discussioni. E vengo al punto.
Massimo, oggi il revisionismo storico, strumentale all'affacciarsi nel mondo della politica di forze nuove come la lega, è di gran moda, ma, purtroppo a causa dei troppi giornalisti che si improvvisano storici, rimescola le carte e non fa un buon servizio alla storia. A sua volta la storia non è una scienza ed è costellata di giudizi di valore però alcuni dati di fatto sono innegabili. Invito dunque a leggere più libri di storia e meno esercitazioni giornalistiche funzionali alla messa in campo di progetti politici...
L'unità d'Italia si realizzò grazie ad una serie di eventi casuali e favorevoli nel 1861 con uomini come Garibaldi, Cavour e Mazzini: Risorgimento caldo e risorgimento freddo. E finalmente il sogno di un italia unita, già presente in spirito da molti secoli, trovò compimento nell'unità politica e amministrativa. Certo vi furono brutture e violenze ma alla fine di questo processo storico era nata una grande potenza europea e una nazione.Così l'talia entrò nella modernità.
Mi dirai che sono scontato e scolastico ma molti uomini politici oggi sembrano ben lontani anche dalla licenza elementare..... Giova dunque ripetere!

Il tema oggi è che la lega vorrebbe la secessione : lasciare il sud al suo destino e veleggiare verso il benessere economico al traino del nord europa.
Io ritengo invece che l'unità con il sud sia imprescindibile e che una classe dirigente avvertita debba sviluppare le risorse , in termini di patrimonio culturale e di turismo, di cui questa parte del paese è ricca. Senza dimenticare la lotta alle mafie.
L'egoismo politico e sociale non ci renderà migliori.

giovedì 17 marzo 2011

150 anni d' Italia




Sapete che ho il chiodo del ricordo "futuro"... Rimarremmo troppo male, tra vent' anni, riguardando il blog, se non trovassimo nemmeno un accenno alla giornata di oggi...
W l' Italia!

martedì 8 marzo 2011

Benessere degli animali


Vorrei rispondere a Katia e al commento da lei fatto al post precedente e per farlo ho preferito crearne un altro perchè è un argomento che mi appassiona molto. Amare gli animali è a mio avviso un indice di sensibilità e umanità, ma a volte amare troppo può essere deleterio soprattutto per l’essere che è amato. Sono tutte vere le barbarie che dici che subiscono gli animali negli allevamenti intensivi e non, ma è soprattutto brutto veder macellare un animale anche se lo scopo per cui lo si fa è quello alimentare; rimasi impressionato una volta, quando lavoravo ancora in agricoltura, nel visitare un allevamento di polli a terra con circa 30 volatili a mq alimentati con mangimi pieni di antibiotici per prevenire le malattie. Io ho sempre amato gli animali fin da bambino ed ho sempre avuto una grandissima passione che mi ha spinto a studiarli e a conoscerli sempre meglio e penso tutto sommato di essermi creato una certa competenza sulla fauna selvatica e canina (purtroppo sono come la mia cagnetta: i gatti non mi piacciono). Non sempre amare vuol dire salvarla una vita animale; mi è capitato diverse volte di intervenire su incidenti stradali, uno proprio stamattina, dove c’erano selvatici gravemente feriti (per lo più cervi e caprioli). Una volta mi successe che una signora stava accarezzando un capriolo investito con entrambe le zampe spezzate, fratture esposte, lesione alla colonna vertebrale e paralisi del treno posteriore e lo aveva addirittura coperto con un panno per ripararlo dal freddo. Quella signora stava facendo senza rendersene conto a quel capriolo un male pazzesco perché, tutte le volte che lo accarezzava, provocava nella bestiola uno stress inimmaginabile. Quando ho detto alla signora che quel animale l’avrei dovuto sopprimere (un selvatico che si fa toccare dall’uomo è un animale comunque finito e, anche se lo si riuscisse a recuperare, non sarebbe comunque più adatto alla vita selvatica) questa disse che se l’avessi fatto mi avrebbe denunciato perché non ero un veterinario e non potevo sapere se il capriolo era salvabile o meno. In questi casi anche se avessi telefonato al veterinario convenzionato col nostro servizio mi sarei sentito rispondere come al solito che animali ne vediamo più noi di lui e quindi sappiamo noi se un animale è recuperabile o meno. Tra l’altro quello che afferma il veterinario è vero in quanto all’università studiano gli animali domestici e dei selvatici, che hanno fisiologia ed etologia completamente differenti, sanno poco o nulla e tante volte vengono a chiedere consiglio a noi. Avrei potuto a quel punto intimare alla signora di allontanarsi pena la denuncia per interruzione di pubblico servizio ma non lo feci e decisi di fare divulgazione scientifica spiegando le ragioni per cui quel animale non poteva più vivere. Ci misi un’ora circa ma alla fine ci riuscii a convincerla; l’unico che ci rimise fu il povero capriolo che dovette sopportare un’ora in più di sofferenza. Vi assicuro che tutte le volte che guardo negli occhi un capriolo che deve essere soppresso, se potessi, farei a meno, ma devo farlo perché me lo impone il suo benessere sancito per altro dalla Legge e tra l’altro fa parte anche dei nostri compiti istituzionali (solo noi siamo autorizzati a sopprimere un selvatico in periodo di chiusura di caccia, neanche il Corpo Forestale dello Stato e tra l'altro abbiamo seguito anche dei corsi per fare questo). Quando arrivo su un capriolo ferito col suo sguardo languido molte volte vorrei fuggire ma, guardando il dolore negli occhi del selvatico (diverso è il discorso con un animale domestico), alla fine quando premo il grilletto della pistola è una liberazione soprattutto per la bestiola. La caccia infine, attività che non pratico e non praticherei perché non mi piace, ha anche come qualcuno ha accennato la funzione di contenere lo sviluppo esagerato di certa fauna(ungulati in genere), prevenendo in questo modo le malattie. Non voglio farvi una lezione sulla “capacità portante” di un determinato habitat, ma tenete presente che oltre un certo numero gli animali selvatici non possono espandersi raggiunto il quale vengono limitati dalle malattie; quindi in assenza dei loro predatori naturali, se l’uomo si sostituisce a questi non crea danno all’ambiente. Tra l’altro cibarsi di carne cacciata è molto più salubre che cibarsi di carne allevata perché un cervo ha vissuto ed è morto molto ma molto ma molto meglio di un qualsiasi manzo allevato in stalla. Io ad esempio, pur non mangiando molta carne preferisco una bistecca di cervo ad una di manzo per sapore, consistenza, genuinità dell’alimento. Ultima cosa e non è certo il caso di Katia persona per quel che ricordo dall’umanità profonda e dalla grande sensibilità, a me piacerebbe che quelli che si definiscono animalisti al 100% guardassero negli occhi un capriolo con le zampe rotte e soprattutto mi piacerebbe che avessero la stessa sensibilità che hanno verso gli animali anche verso gli esseri umani. Spero di non avervi tediato troppo. Il prossimo post lo dedicherò per farvi conoscere la mia cagnolina ed il suo carattere, dato che è un cane veramente eccezionale. Se volete posso anche scrivere qualcosa, visto che sta arrivando il momento, sulla stagione dei parti nel bosco (ho scritto parti e non parties) e magari su qualche altro endemismo delle Alpi. A fine mese vado tra l’altro a seguire a Tarvisio un corso sui grandi carnivori tenuto da docenti dell’Università di Udine e di Lubiana massimi esperti europei perché c’è sempre da imparare sugli animali.
Nella foto piccolo di cervo da me fotografato a poche ore dal parto la primavera scorsa.

mercoledì 2 marzo 2011

Caccia sì, ma...


Vedo che si è finiti a parlare un po' della caccia e vorrei scrivere qualcosa per chiarire come la penso. Premesso che io non ho mai cacciato e mai penso lo farò a questo punto della mia vita, anche perché non mi appassionerebbe la caccia fatta qui da noi ad animali per lo più immessi e comunque, diciamolo, "indifesi". Parlerò dunque di "caccia grossa". La prima cosa che mi viene in mente è che bisogna distinguere fra la caccia fatta come si deve, diciamo pure "sportivamente", e lo sparare indiscrimintamente a tutto ciò che si muove. Sono un pescatore (d'estate) e noi pescatori abbiamo la possibilità di scegliere se trattenere o meno le prede (il "catch and release" è ormai diffusissimo anche in Italia per tutelare il patrimonio ittico autoctono), i cacciatori non hanno questa scelta. Entra quindi in gioco il concetto di caccia di selezione, mirata all'abbattimento di un certo numero di esemplari affinché gli altri possano vivere meglio. Così è nelle montagne di Andrea e così è ad esempio nelle grandi riserve africane. Qundo andai io in Botswana la popolazione di elefanti si aggirava sui quarantamila esemplari. E' ovvio che bisognava limitarli per quanto il territorio sia vasto. Se guardate in internet è possibile consultare i siti delle grandi organizzazioni di safari nell'Africa subequatoriale: al cacciatore americano o europeo che sia vengono in pratica venduti sulle licenze di caccia un certo numero di capi (che poi sarà il professionista che lo accompagna a scegliere) a un prezzo che non si può certo definire alla portata di tutti. Parliamo di decine di migliaia di dollari, insomma una cosa da ricconi. Ma questo afflusso di capitali è assolutamente una delle principali fonti di guadagno per i nativi di quelle zone altrimenti privi di tutte le opportunità della società civile. L'industria africana della caccia che viaggia parallelamente a quella del turismo nei parchi, è forse ancora più redditizia date le cifre che muove. Naturalmente la cosa deve essere fatta con un occhio di riguardo alla salvaguardia delle specie: il rinoceronte nero credo non sia cacciabile e anche quello bianco deve avere numeri bassissimi e costi spropositati. Non ci sono invece per gli anni a venire problemi per gli altri quattro "big five": elefante, leone, leopardo e bufalo. Così come per le innumerevoli specie di antilopi, gli ippopotami e tutto quanto potete vedere in qualsiasi documentario di National Geographic. Ora, qualcuno obietterà, ma perché sparare a quei bellissimi animali e che gusto c'è poi con i fucili potentissimi del giorno d'oggi? Alla prima obiezione ho già risposto sopra, sul fatto poi che qualcuno pensi che sia una cosa facile aggiungerò alcune considerazioni. Intanto sì, è vero, se sparo a un leone a 180 metri di distanza su terreno aperto mirando con l'ottica, l'unico problema l'ho avuto qualche giorno prima al campo base a registrare il mirino e dovrò tutt'al più correggere l'alzo e tenere conto del vento. (La distanza che ho citato comunque è bassa, tenete presente che il "record mondiale" accreditato ad uno "sniper" è di un soldato alleato durante la prima guerra afgana contro un talebano da oltre 2000 metri! E non è come nei film dove si vede solo una macchia di sangue magari sulla fronte del cattivo: a quella distanza il proiettile entra in caduta sopra la testa e della testa non rimane nulla. Non lo possono fare vedere così nei film). Ma tornando al leone, diversa cosa è se lo si bracca da vicino su terreno accidentato, magari erba alta o altissima e alberi dove il suo mimetismo è davvero impressionante. Certo c'è con voi il ph, il professional hunter, con un fucile ancora più grosso del vostro, perché nel 2011 nessuno va più da solo dietro a questi animali. Una volta c'era chi lo faceva. Non parliamo poi se il leone è leggermente ferito o se è antropofago. Quando il leone vi carica raggiunge la velocità di 80 chilometri all'ora e viene avanti a balzi di 20 metri. Se siete fortunati e lo vedete che vi carica da almeno 100 metri avete il tempo di sparargli solo due volte e la seconda volta è già a una ventina di metri... Credo che sia abbastanza sportivo fatto così o no? Anche perché se vi trema la mano non è come la lepre o il cervo che vi sfugge, ma diventa doloroso assai. Apro una parentesi per una similitudine con un'altra cosa che è a mio avviso più barbara della caccia: la corrida. Anche lì sento la gente esultare quando il toro ferisce il matador e ci può stare. Anche se il toro muore solo pochi minuti dopo che l'uomo comincia a "giocarci" e riceve tutte ferite a caldo (un po' come quando si fa a pugni e non si sente male al momento) quindi tenuto conto che il resto della sua vita è stato nei pascoli più belli, coccolato e ben nutrito, mi fa molto ma molto meno pena dei manzi macellati in batteria. Il guaio è che la corrida da un sacco di tempo (un secolo?) viene taroccata. Picadores e banderilleros che dovrebbero solo correggere i difetti di carica del toro per permettere al matador l'esecuzione delle faenas più classiche non fanno che brutalizzargli collo e schiena. Alla fine il matador per non saper di storie pianta la spada in un punto qualsiasi del collo e, siccome conosce bene la fisica degli spostamenti del toro, così "barando" non rischia neppure. Ma le regole non sarebbero quelle e se ogni tanto ci scappa il ferito o il morto è per un evento sfortunato, tipo una ventata o un inciampo, non certo perché il matador espone il petto "recibiendo" il toro come facevano una volta. E' come viene fatta la cosa che fa la differenza. E tornando alla caccia, per me, se uno ha il coraggio di esporsi in prima persona, a piedi, in un ambiente assolutamente ostile, beh tanto di cappello, io preferisco fare foto, parlarne e leggerne. Leggere di quegli uomini come Alexsander Siemel, l'ultimo "tigrero" (tigre in sudamerica è il giaguaro) l'avventuriero lituano che visse in Brasile nel Pantanal imparando e tramandando l'antica arte della caccia al giaguaro con la zagaglia (lì oltre al coraggio ci vuole pure la forza) e soprattutto Jim Corbett, per il quale dovrei scrivere troppo: per chi non lo conosce un precursore della salvaguardia dell'ambiente e del suo grande amico/nemico, la tigre. "Nemico" perché dal 1907 al 1938 fu chiamato ad abbattere 9 tigri (più tre leopardi) che avevano ucciso circa 1200 esseri umani! Fa parte della storia dell'India. I suoi libri autobiografici sono eccezionali. Siete mai andati per funghi, magari nelle montagne dove lavora Andrea, o anche qui da noi? E' per dare un'idea dell'ambiente delle colline alle pendici dell'Himalaya, fatto di fitte foreste attraversate da sentieri e fiumi alimentati delle nevi perenni. Ogni tanto un villaggio. E tutti chiusi in casa per settimane perché magari in quel periodo un tiranno dalla pelle a strisce impone un coprifuoco che mai nessun'altra autorità riuscirebbe a far rispettare. In giro ci siete solo voi e lui che vi cercate nella foresta dove si vede a pochi passi e sta venendo buio...
Ma questa è un'altra storia.








martedì 1 marzo 2011

varie ed eventuali

Innanzitutto mi congratulo per la crescita quasi esponenziale dei collaboratori da circa un mese a questa parte, penso che facebook abbia funzionato ottimamente da passaparola e questo mi convince che anche un vituperato social network possa avere validi significati e consentire positive aggregazioni.
Leggendo le storie di Andrea sono rimasta affascinata dal suo lavoro, forse perché sono tra coloro non precisamente realizzate nella professione, forse perché gli uffici non sono mai stati e non sono tuttora il mio habitat naturale, forse perché amo la natura in ogni sua espressione... sta di fatto che penso a ciò che fa Andrea come a qualcosa che possa avvicinare l'Uomo a Dio più di frettolose visite in chiesa.
E, a proposito di Andrea, vorrei confessargli qui, davanti a tutti, che una mia amica si prese una sonora "cotta" per lui e che, si parla dell'anno 1974, tentai di farli uscire insieme combinando un macchinoso programma di "incontri casuali", ma la mia amica allora non era un granché e non riuscì a far breccia nel suo cuore... tanto che probabilmente nemmeno si accorse della machiavellica trama alle sue spalle!
Vorrei approfittare di questo spazio anche per ricordare a Massimo che il mio compleanno cade il 22 luglio e che, proprio per questo motivo, nessuno ha mai potuto ricordarsene in quanto non l'ho mai festeggiato nel periodo scolastico... ma ora LO SAPETE e se non mi farete gli auguri per i prossimi 55anni, giuro che non vi perdonerò facilmente, essendo ancora oggi "lievemente" permalosa...
Valeria, sai che quando passo davanti al tuo portone, o almeno a quello che era il portone di casa tua, penso di aver trascorso bei pomeriggi con te e con la tua mamma sempre così ospitale e gentile?
Un abbraccio a tutti e... FORZA BOLOGNA FOREVER, su questo mica si scherza!!!