Il mondo dell’alpinismo mi ha sempre affascinato fin dai tempi in cui ne parlavo col nostro compagno Andrea G. apprendista rocciatore ai tempi dell’università. Un pomeriggio mi trascinò perfino a fare la ferrata che c’era a Badolo vestiti in borghese e con scarpe da città. Ma anche se non ho mai “praticato” mi sono fatto negli anni una raccolta di libri sulla montagna e grazie anche a Internet seguo costantemente le spedizioni qua e là per il mondo. Quello che mi stupisce e mi riempie di ammirazione per i grandi alpinisti è la capacità di affrontare ripetutamente negli anni situazioni sovrumane per quella che chiamano “la conquista dell’inutile”. Più della montagna in sé, che è ciò che in effetti li spinge, io che invece andavo sempre al mare ero e sono attratto dall’uomo “contro” la montagna. Nell’alpinismo ci sono drammi quasi quotidiani, ma tre sono stati quelli che hanno avuto un impatto mediatico assolutamente fuori dal comune nel dopoguerra. La tragedia dell’Eiger del 1957, con le cordate Nothdurft- Mayer, Corti-Longhi e la morte dei primi due e di quest’ultimo rimasto appeso in bella vista per due anni con tutto quel che ne seguì, ma ne parlerò magari un’altra volta e vi rimando ai libri che ne trattano ampiamente come “Arrampicarsi all’inferno” di J. Olsen. La tragedia del pilastro centrale del Freney sul monte Bianco nel ‘61 dove perirono Andrea Oggioni e tre francesi, si salvarono altri tre fra cui il grande Walter Bonatti che non potè salvarli tutti e qui vi raccomando “Freney 1961, Tragedia sul Monte Bianco” di M. Ferrari. Infine la spedizione ”commerciale” del 1996 all’Everest in cui morirono 9 scalatori fra guide e clienti di cui uno dei sopravvissuti, John Krakauer, ha scritto nel celebrato e controverso best seller “Aria sottile”. Denominatori comuni a queste tre tragedie sono stati l’improvviso cambiamento di clima, vero killer in montagna, e le infinite polemiche che ne sono seguite e che hanno segnato a volte per sempre la vita dei superstiti.
Ma a proposito di polemiche, clima che uccide, oltre a difficoltà estreme, non bisogna dimenticare la Patagonia e quando si dice Patagonia si dice Cerro Torre, una vetta alta "appena" 3128 metri eppure temuta come e più dei peggiori ottomila. E che nasconde un mistero che mi intriga. Che cosa successe lassù tra fine gennaio e inizio febbraio del 1959? Negli anni cinquanta vi furono diversi tentativi di salita al Cerro Torre. In particolare, nel 1958 due spedizioni italo-argentine tentarono la salita contemporaneamente ed in maniera indipendente tra di loro. Una era guidata da Cesare Maestri, l'altra da Walter Bonatti e Carlo Mauri. Entrambe dovettero rinunciare all'impresa per motivi logistici. Nel 1959, Bonatti e Mauri avevano preventivato un secondo tentativo, ma abbandonarono prima ancora di partire quando seppero che un'altra spedizione italiana, sempre guidata da Maestri, era partita prima di loro.
La spedizione di Cesare Maestri (1959) comprendeva anche il fortissimo ghiacciatore austriaco Toni Egger e Cesarino Fava. Maestri ed Egger partirono all'assalto della vetta, mentre Fava rimase al campo per supporto. Dopo una settimana Maestri fu ritrovato in stato confusionale, e raccontò a Cesarino Fava che l'aveva soccorso di aver raggiunto la vetta il 31 gennaio insieme ad Egger, che era poi caduto durante la discesa portando con sé la macchina fotografica e quindi le prove del successo. La vicenda diede vita a numerose polemiche. Molte spedizioni tentarono di ripetere l'itinerario descritto da Maestri, ma senza riuscirvi; i resoconti riportavano da un lato notevoli discrepanze tra le descrizioni di Maestri e le caratteristiche effettivamente riscontrate sulle pareti, dall'altro la mancanza di tracce del passaggio della prima spedizione.
Maestri allora tornò, nel 1970, probabilmente più per la pressione e l'orgoglio ferito che per vera e propria volontà sportiva, e portò con sé un grosso martello compressore del peso di un quintale. Con l'aiuto di due compagni, per una nuova via di salita, trascinò il compressore, impresa di per sé immane, fin sotto il fungo di ghiaccio, lo utilizzò per piantare qualche manciata di chiodi a pressione in un punto completamente privo di appigli, arrivò una trentina di metri sotto alla vetta e sulla via di discesa spezzò tutti i chiodi, chiudendo così l'accesso alla sommità e lasciando il compressore appeso per sempre all'ultimo chiodo, cento metri più sotto: un gesto palesemente sprezzante e polemico. Al ritorno dichiarò in segno di sfida di avere nuovamente vinto il Torre: il fatto però di non avere salito il fungo di ghiaccio finale, e di non essere quindi stato sulla vetta vera e propria, non fece altre che aumentare dubbi e polemiche tra i suoi avversari. Maestri venne questa volta accusato di non aver vinto con mezzi leali ed anzi, di non avere vinto affatto. Non solo: nessuno riuscì a spiegarsi perché Maestri avesse voluto sfidare i suoi denigratori salendo per una via nuova, piuttosto che ripetere quella contestata del '59, né lui fu mai chiaro in proposito. La via del compressore (detta anche via Maestri o Compressor road) fu ripercorsa nel 1979 dall'americano Jim Bridwell che riscontrò che i chiodi lasciati dalla spedizione del 1970 s'interrompono a 30 metri dalla cima, appunto sotto il fungo terminale.
Nel 2005 Ermanno Salvaterra, uno dei maggiori conoscitori del Torre (cinque ascensioni compresa la prima invernale nel luglio 1985), fino ad allora sostenitore di Maestri, ripercorse la via di Maestri del '59 e insieme ad Alessandro Beltrami e allo scalatore argentino Rolando Garibotti riuscì a raggiungere la cima. Non solo lungo la via non trovò alcuna traccia del passaggio di Maestri, ma si dovette arrendere all'evidenza che la via descritta dallo stesso Maestri, semplicemente, non esiste: il tracciato e il terreno non corrispondono affatto a quanto raccontato per oltre quarant'anni dal mitico Cesare e le contraddizioni fra quanto riportato nel resoconto originale del '59 e ciò che Salvaterra e compagni trovarono non si contano.
Oggi Salvaterra, il cui blog vi invito a leggere in quanto mi pare una persona davvero fuori dal comune, in senso buono, non crede più a Maestri e lo scontro con il vecchio alpinista è arrivato addirittura davanti agli avvocati. Salvaterra, peraltro, è tutt'altro che solo. Nel 2004 Garibotti, che proprio insieme a Salvaterra aveva compiuto la salita del 2005, ha pubblicato sull'American Alpine Journal un lungo e documentato articolo-indagine mirato a smontare definitivamente la verità di Maestri e riportando alla ribalta l'annosa vicenda. E a buttare benzina sul fuoco è arrivato infine nientemeno che il grande Reinhold Messner, che tutti conoscerete, con il suo libro del 2009 “Grido di Pietra - Cerro Torre, la montagna impossibile” dove a sua volta pur con la massima ammirazione per quello che, non dimentichiamolo, Maestri è stato per l’alpinismo italiano, dimostra (cito) “prove alla mano, come si fa in tribunale, che Maestri e Egger non raggiunsero la cima del Torre nel 1959. Per quanto riguarda la seconda salita, quella del compressore, è stato lo stesso Maestri ad ammetterlo. Quando gli chiesi se aveva raggiunto la cima, mi rispose con grande sincerità che per lui ”la montagna finisce là dove finisce la roccia”. Il problema è che il Torre è sovrastato da un fungo di ghiaccio alto oltre 400 metri pari cioè, grosso modo, alla parete nord delle Cime di Lavaredo. Difficile a queste condizioni poter sostenere di essere il primo salitore. Il primo a mettere i piedi là sopra fu infatti un ragno di Lecco, Casimiro Ferrari. Lo dimostrano le foto di vetta. Che nel caso di Maestri non esistono”.
Sembrerebbe dunque che la prima ascensione indiscussa del Cerro Torre sia quella compiuta il 13 gennaio 1974 da una spedizione del gruppo dei Ragni di Lecco; in quell'occasione giunsero in vetta Daniele Chiappa, Mario Conti, Casimiro Ferrari e Pino Negri.
Ma il Grido di Pietra uccide ancora: il primo gennaio di quest’anno è morto lo scalatore trentino Fabio Giacomelli che voleva portare sulla cima del Torre le ceneri di quel Cesarino Fava, compagno di Maestri nel ’59, suo salvatore e che sempre l’aveva difeso.
La foto, tratta dal sito di Salvaterra, mostra la via del 2005, El arca de los vientos.
Ma a proposito di polemiche, clima che uccide, oltre a difficoltà estreme, non bisogna dimenticare la Patagonia e quando si dice Patagonia si dice Cerro Torre, una vetta alta "appena" 3128 metri eppure temuta come e più dei peggiori ottomila. E che nasconde un mistero che mi intriga. Che cosa successe lassù tra fine gennaio e inizio febbraio del 1959? Negli anni cinquanta vi furono diversi tentativi di salita al Cerro Torre. In particolare, nel 1958 due spedizioni italo-argentine tentarono la salita contemporaneamente ed in maniera indipendente tra di loro. Una era guidata da Cesare Maestri, l'altra da Walter Bonatti e Carlo Mauri. Entrambe dovettero rinunciare all'impresa per motivi logistici. Nel 1959, Bonatti e Mauri avevano preventivato un secondo tentativo, ma abbandonarono prima ancora di partire quando seppero che un'altra spedizione italiana, sempre guidata da Maestri, era partita prima di loro.
La spedizione di Cesare Maestri (1959) comprendeva anche il fortissimo ghiacciatore austriaco Toni Egger e Cesarino Fava. Maestri ed Egger partirono all'assalto della vetta, mentre Fava rimase al campo per supporto. Dopo una settimana Maestri fu ritrovato in stato confusionale, e raccontò a Cesarino Fava che l'aveva soccorso di aver raggiunto la vetta il 31 gennaio insieme ad Egger, che era poi caduto durante la discesa portando con sé la macchina fotografica e quindi le prove del successo. La vicenda diede vita a numerose polemiche. Molte spedizioni tentarono di ripetere l'itinerario descritto da Maestri, ma senza riuscirvi; i resoconti riportavano da un lato notevoli discrepanze tra le descrizioni di Maestri e le caratteristiche effettivamente riscontrate sulle pareti, dall'altro la mancanza di tracce del passaggio della prima spedizione.
Maestri allora tornò, nel 1970, probabilmente più per la pressione e l'orgoglio ferito che per vera e propria volontà sportiva, e portò con sé un grosso martello compressore del peso di un quintale. Con l'aiuto di due compagni, per una nuova via di salita, trascinò il compressore, impresa di per sé immane, fin sotto il fungo di ghiaccio, lo utilizzò per piantare qualche manciata di chiodi a pressione in un punto completamente privo di appigli, arrivò una trentina di metri sotto alla vetta e sulla via di discesa spezzò tutti i chiodi, chiudendo così l'accesso alla sommità e lasciando il compressore appeso per sempre all'ultimo chiodo, cento metri più sotto: un gesto palesemente sprezzante e polemico. Al ritorno dichiarò in segno di sfida di avere nuovamente vinto il Torre: il fatto però di non avere salito il fungo di ghiaccio finale, e di non essere quindi stato sulla vetta vera e propria, non fece altre che aumentare dubbi e polemiche tra i suoi avversari. Maestri venne questa volta accusato di non aver vinto con mezzi leali ed anzi, di non avere vinto affatto. Non solo: nessuno riuscì a spiegarsi perché Maestri avesse voluto sfidare i suoi denigratori salendo per una via nuova, piuttosto che ripetere quella contestata del '59, né lui fu mai chiaro in proposito. La via del compressore (detta anche via Maestri o Compressor road) fu ripercorsa nel 1979 dall'americano Jim Bridwell che riscontrò che i chiodi lasciati dalla spedizione del 1970 s'interrompono a 30 metri dalla cima, appunto sotto il fungo terminale.
Nel 2005 Ermanno Salvaterra, uno dei maggiori conoscitori del Torre (cinque ascensioni compresa la prima invernale nel luglio 1985), fino ad allora sostenitore di Maestri, ripercorse la via di Maestri del '59 e insieme ad Alessandro Beltrami e allo scalatore argentino Rolando Garibotti riuscì a raggiungere la cima. Non solo lungo la via non trovò alcuna traccia del passaggio di Maestri, ma si dovette arrendere all'evidenza che la via descritta dallo stesso Maestri, semplicemente, non esiste: il tracciato e il terreno non corrispondono affatto a quanto raccontato per oltre quarant'anni dal mitico Cesare e le contraddizioni fra quanto riportato nel resoconto originale del '59 e ciò che Salvaterra e compagni trovarono non si contano.
Oggi Salvaterra, il cui blog vi invito a leggere in quanto mi pare una persona davvero fuori dal comune, in senso buono, non crede più a Maestri e lo scontro con il vecchio alpinista è arrivato addirittura davanti agli avvocati. Salvaterra, peraltro, è tutt'altro che solo. Nel 2004 Garibotti, che proprio insieme a Salvaterra aveva compiuto la salita del 2005, ha pubblicato sull'American Alpine Journal un lungo e documentato articolo-indagine mirato a smontare definitivamente la verità di Maestri e riportando alla ribalta l'annosa vicenda. E a buttare benzina sul fuoco è arrivato infine nientemeno che il grande Reinhold Messner, che tutti conoscerete, con il suo libro del 2009 “Grido di Pietra - Cerro Torre, la montagna impossibile” dove a sua volta pur con la massima ammirazione per quello che, non dimentichiamolo, Maestri è stato per l’alpinismo italiano, dimostra (cito) “prove alla mano, come si fa in tribunale, che Maestri e Egger non raggiunsero la cima del Torre nel 1959. Per quanto riguarda la seconda salita, quella del compressore, è stato lo stesso Maestri ad ammetterlo. Quando gli chiesi se aveva raggiunto la cima, mi rispose con grande sincerità che per lui ”la montagna finisce là dove finisce la roccia”. Il problema è che il Torre è sovrastato da un fungo di ghiaccio alto oltre 400 metri pari cioè, grosso modo, alla parete nord delle Cime di Lavaredo. Difficile a queste condizioni poter sostenere di essere il primo salitore. Il primo a mettere i piedi là sopra fu infatti un ragno di Lecco, Casimiro Ferrari. Lo dimostrano le foto di vetta. Che nel caso di Maestri non esistono”.
Sembrerebbe dunque che la prima ascensione indiscussa del Cerro Torre sia quella compiuta il 13 gennaio 1974 da una spedizione del gruppo dei Ragni di Lecco; in quell'occasione giunsero in vetta Daniele Chiappa, Mario Conti, Casimiro Ferrari e Pino Negri.
Ma il Grido di Pietra uccide ancora: il primo gennaio di quest’anno è morto lo scalatore trentino Fabio Giacomelli che voleva portare sulla cima del Torre le ceneri di quel Cesarino Fava, compagno di Maestri nel ’59, suo salvatore e che sempre l’aveva difeso.
La foto, tratta dal sito di Salvaterra, mostra la via del 2005, El arca de los vientos.