mercoledì 24 marzo 2010

Grido di Pietra


Il mondo dell’alpinismo mi ha sempre affascinato fin dai tempi in cui ne parlavo col nostro compagno Andrea G. apprendista rocciatore ai tempi dell’università. Un pomeriggio mi trascinò perfino a fare la ferrata che c’era a Badolo vestiti in borghese e con scarpe da città. Ma anche se non ho mai “praticato” mi sono fatto negli anni una raccolta di libri sulla montagna e grazie anche a Internet seguo costantemente le spedizioni qua e là per il mondo. Quello che mi stupisce e mi riempie di ammirazione per i grandi alpinisti è la capacità di affrontare ripetutamente negli anni situazioni sovrumane per quella che chiamano “la conquista dell’inutile”. Più della montagna in sé, che è ciò che in effetti li spinge, io che invece andavo sempre al mare ero e sono attratto dall’uomo “contro” la montagna. Nell’alpinismo ci sono drammi quasi quotidiani, ma tre sono stati quelli che hanno avuto un impatto mediatico assolutamente fuori dal comune nel dopoguerra. La tragedia dell’Eiger del 1957, con le cordate Nothdurft- Mayer, Corti-Longhi e la morte dei primi due e di quest’ultimo rimasto appeso in bella vista per due anni con tutto quel che ne seguì, ma ne parlerò magari un’altra volta e vi rimando ai libri che ne trattano ampiamente come “Arrampicarsi all’inferno” di J. Olsen. La tragedia del pilastro centrale del Freney sul monte Bianco nel ‘61 dove perirono Andrea Oggioni e tre francesi, si salvarono altri tre fra cui il grande Walter Bonatti che non potè salvarli tutti e qui vi raccomando “Freney 1961, Tragedia sul Monte Bianco” di M. Ferrari. Infine la spedizione ”commerciale” del 1996 all’Everest in cui morirono 9 scalatori fra guide e clienti di cui uno dei sopravvissuti, John Krakauer, ha scritto nel celebrato e controverso best seller “Aria sottile”. Denominatori comuni a queste tre tragedie sono stati l’improvviso cambiamento di clima, vero killer in montagna, e le infinite polemiche che ne sono seguite e che hanno segnato a volte per sempre la vita dei superstiti.
Ma a proposito di polemiche, clima che uccide, oltre a difficoltà estreme, non bisogna dimenticare la Patagonia e quando si dice Patagonia si dice Cerro Torre, una vetta alta "appena" 3128 metri eppure temuta come e più dei peggiori ottomila. E che nasconde un mistero che mi intriga. Che cosa successe lassù tra fine gennaio e inizio febbraio del 1959? Negli anni cinquanta vi furono diversi tentativi di salita al Cerro Torre. In particolare, nel 1958 due spedizioni italo-argentine tentarono la salita contemporaneamente ed in maniera indipendente tra di loro. Una era guidata da Cesare Maestri, l'altra da Walter Bonatti e Carlo Mauri. Entrambe dovettero rinunciare all'impresa per motivi logistici. Nel 1959, Bonatti e Mauri avevano preventivato un secondo tentativo, ma abbandonarono prima ancora di partire quando seppero che un'altra spedizione italiana, sempre guidata da Maestri, era partita prima di loro.
La spedizione di Cesare Maestri (1959) comprendeva anche il fortissimo ghiacciatore austriaco Toni Egger e Cesarino Fava. Maestri ed Egger partirono all'assalto della vetta, mentre Fava rimase al campo per supporto. Dopo una settimana Maestri fu ritrovato in stato confusionale, e raccontò a Cesarino Fava che l'aveva soccorso di aver raggiunto la vetta il 31 gennaio insieme ad Egger, che era poi caduto durante la discesa portando con sé la macchina fotografica e quindi le prove del successo. La vicenda diede vita a numerose polemiche. Molte spedizioni tentarono di ripetere l'itinerario descritto da Maestri, ma senza riuscirvi; i resoconti riportavano da un lato notevoli discrepanze tra le descrizioni di Maestri e le caratteristiche effettivamente riscontrate sulle pareti, dall'altro la mancanza di tracce del passaggio della prima spedizione.
Maestri allora tornò, nel 1970, probabilmente più per la pressione e l'orgoglio ferito che per vera e propria volontà sportiva, e portò con sé un grosso martello compressore del peso di un quintale. Con l'aiuto di due compagni, per una nuova via di salita, trascinò il compressore, impresa di per sé immane, fin sotto il fungo di ghiaccio, lo utilizzò per piantare qualche manciata di chiodi a pressione in un punto completamente privo di appigli, arrivò una trentina di metri sotto alla vetta e sulla via di discesa spezzò tutti i chiodi, chiudendo così l'accesso alla sommità e lasciando il compressore appeso per sempre all'ultimo chiodo, cento metri più sotto: un gesto palesemente sprezzante e polemico. Al ritorno dichiarò in segno di sfida di avere nuovamente vinto il Torre: il fatto però di non avere salito il fungo di ghiaccio finale, e di non essere quindi stato sulla vetta vera e propria, non fece altre che aumentare dubbi e polemiche tra i suoi avversari. Maestri venne questa volta accusato di non aver vinto con mezzi leali ed anzi, di non avere vinto affatto. Non solo: nessuno riuscì a spiegarsi perché Maestri avesse voluto sfidare i suoi denigratori salendo per una via nuova, piuttosto che ripetere quella contestata del '59, né lui fu mai chiaro in proposito. La via del compressore (detta anche via Maestri o Compressor road) fu ripercorsa nel 1979 dall'americano Jim Bridwell che riscontrò che i chiodi lasciati dalla spedizione del 1970 s'interrompono a 30 metri dalla cima, appunto sotto il fungo terminale.
Nel 2005 Ermanno Salvaterra, uno dei maggiori conoscitori del Torre (cinque ascensioni compresa la prima invernale nel luglio 1985), fino ad allora sostenitore di Maestri, ripercorse la via di Maestri del '59 e insieme ad Alessandro Beltrami e allo scalatore argentino Rolando Garibotti riuscì a raggiungere la cima. Non solo lungo la via non trovò alcuna traccia del passaggio di Maestri, ma si dovette arrendere all'evidenza che la via descritta dallo stesso Maestri, semplicemente, non esiste: il tracciato e il terreno non corrispondono affatto a quanto raccontato per oltre quarant'anni dal mitico Cesare e le contraddizioni fra quanto riportato nel resoconto originale del '59 e ciò che Salvaterra e compagni trovarono non si contano.
Oggi Salvaterra, il cui blog vi invito a leggere in quanto mi pare una persona davvero fuori dal comune, in senso buono, non crede più a Maestri e lo scontro con il vecchio alpinista è arrivato addirittura davanti agli avvocati. Salvaterra, peraltro, è tutt'altro che solo. Nel 2004 Garibotti, che proprio insieme a Salvaterra aveva compiuto la salita del 2005, ha pubblicato sull'American Alpine Journal un lungo e documentato articolo-indagine mirato a smontare definitivamente la verità di Maestri e riportando alla ribalta l'annosa vicenda. E a buttare benzina sul fuoco è arrivato infine nientemeno che il grande Reinhold Messner, che tutti conoscerete, con il suo libro del 2009 “Grido di Pietra - Cerro Torre, la montagna impossibile” dove a sua volta pur con la massima ammirazione per quello che, non dimentichiamolo, Maestri è stato per l’alpinismo italiano, dimostra (cito) “prove alla mano, come si fa in tribunale, che Maestri e Egger non raggiunsero la cima del Torre nel 1959. Per quanto riguarda la seconda salita, quella del compressore, è stato lo stesso Maestri ad ammetterlo. Quando gli chiesi se aveva raggiunto la cima, mi rispose con grande sincerità che per lui ”la montagna finisce là dove finisce la roccia”. Il problema è che il Torre è sovrastato da un fungo di ghiaccio alto oltre 400 metri pari cioè, grosso modo, alla parete nord delle Cime di Lavaredo. Difficile a queste condizioni poter sostenere di essere il primo salitore. Il primo a mettere i piedi là sopra fu infatti un ragno di Lecco, Casimiro Ferrari. Lo dimostrano le foto di vetta. Che nel caso di Maestri non esistono”.
Sembrerebbe dunque che la prima ascensione indiscussa del Cerro Torre sia quella compiuta il 13 gennaio 1974 da una spedizione del gruppo dei Ragni di Lecco; in quell'occasione giunsero in vetta Daniele Chiappa, Mario Conti, Casimiro Ferrari e Pino Negri.

Ma il Grido di Pietra uccide ancora: il primo gennaio di quest’anno è morto lo scalatore trentino Fabio Giacomelli che voleva portare sulla cima del Torre le ceneri di quel Cesarino Fava, compagno di Maestri nel ’59, suo salvatore e che sempre l’aveva difeso.

La foto, tratta dal sito di Salvaterra, mostra la via del 2005, El arca de los vientos.

venerdì 19 marzo 2010

L'articolo di Massimo P. dedicato ai "freddofili"

I cinque gioielli della grande neve

(ovvero: Un grande inverno in 10 capitoli)

Questa è una cronaca a caldo, a poche ore dall’ultimo grande evento nevoso, che vuole ripercorrere col ricordo le continue emozioni provate durante quattro splendidi mesi di un inverno fra i più grandi degli ultimi decenni, un inverno che non è esagerazione definire storico, un inverno di cui si parlerà ancora molto negli anni futuri: e così come si ricordano il '29, il '56, il '63, l'85, sicuramente un posto importante nella memoria di ognuno di noi verrà occupato anche dal 2009/2010.

E’ un racconto fatto di ricordi e di emozioni, quindi, non di analisi statistico-matematiche e di carte meteorologiche: per queste analisi ci vorrà più tempo e saranno necessarie persone più esperte del sottoscritto. Persone che non mancheranno di dire la loro nei prossimi giorni, quando sarà tempo di bilanci.

Fatta questa doverosa premessa, è tempo di iniziare il nostro racconto:


Capitolo 1: l’attesa


Dopo un autunno non particolarmente entusiasmante ed un lungo blocco anticiclonico che ha caratterizzato tutta la seconda quindicina di novembre, ai primi di dicembre la situazione finalmente evolve e dopo alcune perturbazioni atlantiche, le carte intravedono finalmente l’arrivo del primo vero freddo invernale. accompagnato dalle prime nevicate.

Ed eccoci infatti arrivati al 14 dicembre, quando la prima neve della stagione imbianca le nostre contrade.

Continue spolverate cadono un po’ tutti i giorni fino al 17, con qualche centimetro d’accumulo. Niente di eccezionale, ma c’è da essere comunque molto soddisfatti: è pur sempre una discreta nevicata, dopo anni di magra. E poi, l’inverno è appena iniziato, ma soprattutto le carte intravedono, già per il 18, una ben più appetitosa situazione da neve



Capitolo 2: il primo gioiello della grande neve (una nevicata d’altri tempi)


L’attesa è spasmodica: troppe volte le carte sono cambiate all’ultimo istante trasformando l’attesa della neve in una grande delusione, ma stavolta questo non succede: ad ogni emissione le mappe confermano, anzi ulteriormente migliorano, fino all’ultimo fantastico responso nel pomeriggio di venerdì 18 dicembre: ELBA LOW !!

Torno a casa venerdì sera a bufera già iniziata, appena in tempo, prima che le strade diventino impraticabili. Passo la serata fra la finestra e il PC a godermi la nevicata sempre più intensa e con una temperatura sempre più da favola.

Quando salta la luce vado letto. Sabato mattina, al risveglio, il paesaggio è incantevole: nevica ancora, ma il grosso si è già depositato; la temperatura scesa è fino a –4.1: un sogno.

Esco di casa: la scala esterna è coperta da una spesso manto di soffice neve. La neve secca e farinosa ha ricoperto tutto, anche gli angoli più riparati. Col metro misuro lo spessore: 30 fantastici centimetri.

La prima cosa da fare è immortalare lo splendido paesaggio: in pochi minuti esaurisco la memoria della macchina fotografica digitale.

La seconda cosa da fare è spalare: compito ingrato per la mia schiena malandata, ma stavolta non mi accorgo nemmeno di far fatica, tanto la neve è soffice e leggera.

Le ore, i giorni che seguono la fine della nevicata sono storici: minime eccezionali a due cifre come da anni non si vedevano, massime che rimangono ben lontane dagli zero gradi, temperature che già dopo il tramonto precipitano sotto i –10, freezing fog e sontuosa galaverna.

Ma la musica purtroppo è destinata a cambiare ben presto: la gioia prodotta da queste splendide giornate di freddo e neve è offuscata dalle ignobili mappe previsionali relative al periodo natalizio



Capitolo 3: la grande scaldata


Preceduta da un fenomenale gelicidio inizia la terribile scaldata di Natale, quando l’Europa è investita da isoterme che che si vedono solo in piena estate.

Il disgelo è rovinoso, le temperature raggiungono valori abominevoli proprio la vigilia ed il giorno di Natale (fino a +20 in Romagna), la neve si scioglie in un baleno.

Sembra già finita dopo che era appena cominciata, ma per fortuna dopo Natale le mappe riprendono darci un po’ speranza nel ritorno del freddo per i primi di gennaio



Capitolo 4: il secondo gioiello della grande neve (il ritorno della dama)



La neve finalmente ritorna il 5 gennaio, in tempo per l’appuntamento tradizionale dell’Epifania (la cagadeina d’la Vecia: è un diffuso modo di dire tradizionale e pittoresco nelle campagne ad ovest di Bologna). Nevica dalla sera del 5 fino alla mattina del 6. Superbo il paesaggio nel giorno della Befana.

Una decina di centimetri belli secchi e farinosi.

Bentornata, dama !



Capitolo 5: interludio



Finiscono le feste natalizie e lo scenario cambia nuovamente: inizia un periodo di transizione, non particolarmente entusiasmante, ma che comunque rientra nella tradizione meteo di gennaio.

Il tutto però coincide con una nuova cocente delusione: un potente nocciolo d’aria artica, che sembrava dovesse giungere sull’Italia portandoci nuove godurie nevose, all’ultimo momento devia su Francia e Spagna lasciandoci con l’amaro in bocca.

E mentre da noi il tempo diventa mite e piovoso, i nostri cugini latini sono sommersi da freddo e neve storici.

Ma un contentino c’è anche per noi: dal 19 al 21 gennaio, grazie all’inversione, abbiamo tre fantastici ed inattesi giorni di ghiaccio, con nebbia ed un po’ di galaverna.

Insomma, nonostante tutto, l’inverno c’e’ ancora.

Ed alla fine, il Generale torna e ricordarsi di noi……



Capitolo 6: il terzo gioiello della grande neve (tornano le bianche truppe del Generale)



La terza decade inizia in modo elettrizzate: giorno dopo giorno le carte ci fanno sempre più sognare:

ed alla fine il sogno s’avvera.

Comincia a nevicare nella mattinata del 26 gennaio.

Neve dapprima debole, lenta, poi sempre più forte e convinta.

E di sera/notte è bufera.

E di mattina ci sono 15 cm. nuovi di pacca ed un paesaggio nuovamente fiabesco



Capitolo 7: il quarto gioiello della grande neve (la tempesta di S.Geminiano)



Stavolta non c’è tempo per rifiatare; la neve caduta non fa in tempo a sciogliersi che già si profila una nuova stupenda nevicata.

A dire il vero, fino all’ultimo non si ha un’idea troppo chiara di quanta neve potrà venire e le ore di sabato 30 passano nell’incertezza, ma domenica 31 gennaio quando apro la finestra è apoteosi bianca.

Il vento ulula fra le connessure degli scuri, la neve polverosa è sollevata dalla tempesta in un potente scaccianeve,.ma per il momento l’accumulo è modesto.

Le notizie e le foto da internet fanno invece vedere l’incredibile precipitazione a falde larghe in corso nel Modenese.

Ho un po’ d’invidia e un po’ di delusione, nonostante la tempesta urlante e il paesaggio artico l’accumulo stenta ad aumentare.

Questa situazione, tuttavia, dura molto poco: il nucleo modenese arriva finalmente anche da me e in 2-3 ore di violenta tormenta con neve praticamente orizzontale si depositano 22 cm.

Di sera fa in tempo a rasserenare senza un grande scioglimento e subito la temperatura piomba sotto i –10.

A Modena la tempesta provoca l’annullamento di tutte le manifestazioni previste per la festa del Santo Patrono.

Nei 2-3 giorni successivi rivediamo le gelide minime a due cifre che avevano allietato dicembre.

Ed intanto inizia febbraio…, ma febbraio delude.



Capitolo 8: la grande delusione


Quando martedì sera 9 febbraio, a meno di 12 ore dall’evento, le mappe ci danno l’ennesima conferma siamo ormai sicuri: ci aspetta un’altra goduria nevosa da 30-40 cm.

Ed invece…

Mercoledì comincia a nevicare molto presto, prima del previsto e già alla partenza è subito neve, non acqua. Sembra che tutto cominci nel migliore dei modi.

L’attesa per il pomeriggio, quando dovrebbe cominciare il grosso della nevicata, è spasmodica, un nuovo grande evento è pressoché sicuro.

Ma il grande evento non si verifica: passano le ore e la neve non aumenta, anzi diminuisce, poi vira addirittura in pioggia.

Ormai i peggiori timori diventano certezza: qualcosa è cambiato all’ultimo minuto; l’aria fredda non è arrivata, è rimasta troppo a nord o troppo ad ovest, producendo un minimo troppo sfavorevole per noi.

La delusione è profonda, totale.

Ma questo inverno è comunque diverso dagli altri: anche quando delude un contentino ce lo dà comunque.

Ed allora ecco che nella notte fra lì11 e il 12 febbraio cadono 5-6 cm. di neve.

La mattina di venerdì 12 febbraio il paesaggio torna ad essere bello e suggestivo, da cartolina natalizia: anche febbraio ha dato il suo contributo a questo grande inverno, ma si è trattato di un modesto contributo.



Capitolo 9: la falsa primavera


Febbraio prosegue su binari anonimi e la fine del mese è anzi caratterizzata dai primi tepori primaverili.

Ormai l’inverno sembra archiviato, gli abiti più pesanti vengono riposti negli armadi, si pensa al risveglio primaverile, alle prime fioriture degli alberi più precoci.

Ma il Generale non ha ancora alcuna intenzione di smobilitare; dalla sua roccaforte dell’Europa Nordorientale prepara le truppe per un nuovo, poderoso assalto.

Personalmente, in quei gironi d’attesa, ravviso molte analogie con la situazione che precedeva il marzo 1976, un grande marzo di neve. Vuoi vedere che…..



Capitolo 10: il quinto gioiello della grande neve (l’apoteosi finale)



Come in uno spettacolo di fuochi d’artificio che si conclude con una grande fantasmagoria di luci seguita dal grande botto finale, così è la pirotecnica conclusione che ha in serbo per noi il generale inverno.

Ancora una volta le carte da sogno vengono sempre più confermate ad ogni emissione e mai smentite.

Sembrano carte esagerate, perfino troppo belle: è meglio andare cauti, la delusione di febbraio è ancora troppo recente.

Ed invece la delusione non c’è, anzi….

Dopo un antipasto nella giornata del 5 marzo (3-4 cm. nel Modenese, fiocchi altrove), martedì 9 marzo, con una bora urlante che ormai imperversa da 2-3 giorni, incomincia a nevicare.

La sera è blizzard artico e mentre in pianura per ora la neve finissima impedisce grandi accumuli, le notizie che ci pervengono dalla pedemontana e soprattutto dalla prima collina sono impressionanti. lì la precipitazione è colossale e l’accumulo cresce a vista d’occhio.

Solo in tarda serata il grosso della tempesta si abbatte anche sulla pianura bolognese (quella modenese è già messa meglio da alcune ore) e la mattina dopo il paesaggio è grandioso.

Nel mio cortile misuro 30 cm. di neve, ma nelle dune accumulate dal vento si arriva anche a mezzo metro. Verso il modenese gli accumuli sono anche maggiori. ma sono la pedemontana e la collina a scrivere la storia:. a seconda delle località si parla di 70-80 cm. Ma ci sono voci che dicono che sul bellissimo altopiano di Tolè si sono registrati accumuli fra 90 e 130 cm.

E’ il trionfo finale, la degna e perfetta conclusione di un inverno destinato a passare alla storia.

Nota personale: troppo bello per lasciarlo solo come link ... ;-)

mercoledì 17 marzo 2010

i cinque gioielli della grande neve

Anche se il blog ormai sembra definitivamente disertato da tutti, segnalo che ho scritto "di getto" un articolo con la cronaca del bellissimo inverno 2009/2010, articolo da me pubblicato nel sito http://www.emiliaromagnameteo.com/ (sezione "l'angolo della neve" "articoli di Parmeggiani M.")
Avrei voluto pubblicarlo anche qui, ma proprio non ci riesco col copia incolla (e non riesco neanche a metterlo come commento al post: mi segnala un imprecisato errore).