domenica 3 novembre 2024

Anni 90: ancora happy days ?

Incuriosito da alcuni commenti letti su X, contrariamente alle mie consolidate abitudini che mi portano a guardare in diretta solo un telegiornale e le partite di calcio e poi, registrati, solo film e telefilm western, di fantascienza e polizieschi, ho guardato il primo episodio (e quindi tutti gli altri sette) di una serie sulla nascita e i primi passi degli 883, vista, credo, attraverso gli occhi di uno dei due, Max Pezzali.

Gli 883 non mi sono mai particolarmente interessati, non ricordavo una sola loro canzone tranne quella che dà il titolo alla serie "Hanno ucciso l'Uomo Ragno" e non posso che confermare la mia sostanziale indifferenza a quel tipo di musica.

Ma, c'è un ma, i commentatori su X non avevano affatto torto quando scrivevano della ambientazione che ricreava, a loro parere, il clima di quegli anni.

E in effetti quella è la parte migliore e, dal mio punto di vista, più accattivante della serie.

Due, tre anni presi in esame (direi dal 1991 al 1993) con la vicenda di quei due ragazzi che sarebbero diventati gli 883 e sullo sfondo tutto il resto.

Con personaggi poi divenuti celebri, verso i quali suppongo si sia indirizzata anche la simpatia o l'antipatia di Pezzali.

Ad esempio la figura di Claudio Cecchetto che mi sembra così caricaturale da farmi supporre che tra i due non corra buon sangue.

Ma soprattutto una gioventù ancora non contaminata dall'eccesso tecnologico (il telefono cellulare appare solo di sfuggita alla fine della serie) e che ancora si ritrova fisicamente in un ambiente come quello di una sala giochi, ancorchè, se corrispondente alla realtà, già molto volgare nelle espressioni che si manifesta nella serie con un linguaggio particolarmente, ripetutamente sboccato anche a tavola con i propri genitori (cosa per noi adolescenti anni 60 e 70, inconcepibile).

Una gioventù che, a differenza della nostra, cominciava a ridere di meno, ad avere meno ambizioni o, meglio, ad avere ambizioni molto differenti rispetto a quelle che avevamo noi.

Una gioventù che sognava meno, o, almeno, diversamente da noi.

E non credo che quando ripercorranno gli anni duemila, il primo e il secondo decennio, troveremo nuovamente quello spirito che ha caratterizzato la gioventù degli anni sessanta, settanta e, in parte, ottanta.

 

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