domenica 23 ottobre 2016

L'abuso del "tu"

A me piace andare in negozi dove, quando entro, mi si avvicini una commessa che mi chiede di cosa ho bisogno.
Non mi piacciono i grandi magazzini, impersonali e freddi, dove bisogna cercare quello che si vuole, indovinare una saletta dove provarsi il vestito e poi deambulare con il vestito in mano per cercare una cassa aperta dove trovare il primo essere umano che, con aria seccata perchè l'ho distratta dalle chiacchiere sul fine settimana passato o futuro, mi dice quanto spendo e poichè io odio pagare con la monetica, mi guarda pure sospettosa quando estraggo i contanti.
Però, anche in quei negozi che hanno alle spalle trenta, quaranta, sessanta anni di attività e sono ormai giunti alla terza generazione di proprietà in famiglia, cominciano ad apparire commesse "alternative" con piercing e tatuaggi (pessimo effetto se si tratta di un negozio alimentare !) e con la bruttissima abitudine di rivolgersi ad un cliente che, ormai, ha il doppio dei suoi anni con un "tu" troppo massificante.
Mi ricordo un aneddoto relativo ad un esame universitario negli anni settanta, quando un cappellone dell'epoca (allora "alternativo" oggi sembrerebbe un lord inglese  ...) continuava a rivolgersi al cattedratico che lo interrogava con un tu fino a dirgli, possiamo benissimo darci del tu, perchè siamo tutti uguali.
Al che il docente squadrandolo gli rispose: lei usi pure i vocaboli che appartengono alla sua cultua, ma poichè io credo che tra di noi una certa differenza debba continuare ad esserci io le darò del lei.

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