
In un periodo in cui lo sport in Italia non riesce più di tanto ad interessarmi, vedi soprattutto gli scandali del calcio, la pochezza del basket attuale, il ciclismo sempre nel sospetto del doping, trovo comunque qualcosa da segnalare e perché no seguire con interesse e soprattutto ammirazione, nel mondo dell’alpinismo, che Andrea ben conosce per averlo praticato e di cui io, come già scritto in passato, ho fatto materia di letture approfondite sui classici e più controversi libri. Per presentare degnamente l’impresa cito parte di un articolo del giornalista e scrittore di storie di montagna Giorgio Spreafico:
Quando Jim Donini, Michael Kennedy, Jeff e George Lowe si arrampicarono per la prima volta lassù in stile alpino, anzi in stile capsula, tentarono qualcosa che come pietre di paragone forse (e non è detto) aveva soltanto il Changabang di Pete Boardman e Joe Tasker o l’Ogre di Doug Scott e Chris Bonington. Semplicemente impossibile immaginare qualcosa di più complicato, di più difficile sul piano squisitamente tecnico, e a una quota del genere poi. Come non bastasse, nessuna cordata era mai rimasta prima in parete per ventisei giorni filati avendo con sé cibo solo per quattordici, un po’ per la scelta di non mollare e un po’ per il fatto che a non mollare, e ciascuna per una settimana, erano state anche due spaventose bufere. «Sopravvivenza non scontata» ammise tornando devastato al campo base Donini, al quale una frase del genere era stata ispirata prima solo da un’altra montagna molto ma molto più famosa: il Cerro Torre. Quella squadra straordinaria schierava il meglio che il Nuovo Mondo potesse esprimere in una stagione memorabile del verticale. Gente visionaria capace di appendersi ai palloncini della sua fantasia e di credere possibile il più folle dei sogni, gente però anche concreta proprio come concreti sono il ghiaccio e la roccia, capace anche di mettersi alle spalle cento durissimi tiri di corda prima di rassegnarsi. Epica la scalata, epica la ritirata lanciata a duecento metri dalla vetta, con più solo le energie per tentare di salvarsi. Era il luglio del 1978 e se non sembra ieri è perché da allora è scivolata via una giovane vita. La montagna era il Latok 1, 7145 metri alti e magnifici sul ghiacciaio Choktoi, Karakorum, Pakistan. Una cima scovata grazie a una vecchia foto dei pionieri Eric Shipton e Bill Tillman. La via? La meravigliosa e infinita cresta Nord. Sono passati trentatré anni, ma la montagna e la sua linea magica naturalmente sono sempre lì. La prima, salita una volta soltanto: dal versante Sud, blitz della squadra giapponese di Naoki Takada nell’estate del ’79. La seconda, la cresta, passata indenne attraverso il tiro incrociato e l’assedio di non meno di venti spedizioni. Ci ha provato invano la meglio gioventù alpinistica di mezzo mondo e di più generazioni, ma il risultato non è cambiato. Tutti respinti: altri americani, e poi francesi, polacchi, austriaci, canadesi, norvegesi, inglesi, neozelandesi, argentini, giapponesi. Di più: nessuno è riuscito di salire più in alto della prima cordata, il che già di suo è stupefacente visti i vertiginosi progressi conosciuti da tecnica di scalata e materiali. Mancavano giusto gli italiani, all’appello, ma è arrivato anche il loro momento, e per la squadra che in gran segreto si è coagulata attorno al progetto muovendo da quattro diverse vallate alpine l’aria si è fatta elettrica. E’ stato Ermanno Salvaterra, il trentino indiscusso re del Cerro Torre, uno che sceglie le sue pareti come farebbe un cercatore d’oro, anzi di diamanti, ad essere folgorato da quel nuovo bagliore qualche mese fa (…)
Questa spedizione al Latok, nata “di nascosto” e dall’esito tutt’altro che scontato, comunque difficilmente finirà sulle pagine dei giornali, ma rappresenta lo “sport” (estremo) allo stato più puro. Per questo la seguirò, come seguo Salvaterra da tempo nel suo blog (da cui ho copiato il pezzo di Spreafico) augurandomi che possa riuscire nel duro compito.
Quando Jim Donini, Michael Kennedy, Jeff e George Lowe si arrampicarono per la prima volta lassù in stile alpino, anzi in stile capsula, tentarono qualcosa che come pietre di paragone forse (e non è detto) aveva soltanto il Changabang di Pete Boardman e Joe Tasker o l’Ogre di Doug Scott e Chris Bonington. Semplicemente impossibile immaginare qualcosa di più complicato, di più difficile sul piano squisitamente tecnico, e a una quota del genere poi. Come non bastasse, nessuna cordata era mai rimasta prima in parete per ventisei giorni filati avendo con sé cibo solo per quattordici, un po’ per la scelta di non mollare e un po’ per il fatto che a non mollare, e ciascuna per una settimana, erano state anche due spaventose bufere. «Sopravvivenza non scontata» ammise tornando devastato al campo base Donini, al quale una frase del genere era stata ispirata prima solo da un’altra montagna molto ma molto più famosa: il Cerro Torre. Quella squadra straordinaria schierava il meglio che il Nuovo Mondo potesse esprimere in una stagione memorabile del verticale. Gente visionaria capace di appendersi ai palloncini della sua fantasia e di credere possibile il più folle dei sogni, gente però anche concreta proprio come concreti sono il ghiaccio e la roccia, capace anche di mettersi alle spalle cento durissimi tiri di corda prima di rassegnarsi. Epica la scalata, epica la ritirata lanciata a duecento metri dalla vetta, con più solo le energie per tentare di salvarsi. Era il luglio del 1978 e se non sembra ieri è perché da allora è scivolata via una giovane vita. La montagna era il Latok 1, 7145 metri alti e magnifici sul ghiacciaio Choktoi, Karakorum, Pakistan. Una cima scovata grazie a una vecchia foto dei pionieri Eric Shipton e Bill Tillman. La via? La meravigliosa e infinita cresta Nord. Sono passati trentatré anni, ma la montagna e la sua linea magica naturalmente sono sempre lì. La prima, salita una volta soltanto: dal versante Sud, blitz della squadra giapponese di Naoki Takada nell’estate del ’79. La seconda, la cresta, passata indenne attraverso il tiro incrociato e l’assedio di non meno di venti spedizioni. Ci ha provato invano la meglio gioventù alpinistica di mezzo mondo e di più generazioni, ma il risultato non è cambiato. Tutti respinti: altri americani, e poi francesi, polacchi, austriaci, canadesi, norvegesi, inglesi, neozelandesi, argentini, giapponesi. Di più: nessuno è riuscito di salire più in alto della prima cordata, il che già di suo è stupefacente visti i vertiginosi progressi conosciuti da tecnica di scalata e materiali. Mancavano giusto gli italiani, all’appello, ma è arrivato anche il loro momento, e per la squadra che in gran segreto si è coagulata attorno al progetto muovendo da quattro diverse vallate alpine l’aria si è fatta elettrica. E’ stato Ermanno Salvaterra, il trentino indiscusso re del Cerro Torre, uno che sceglie le sue pareti come farebbe un cercatore d’oro, anzi di diamanti, ad essere folgorato da quel nuovo bagliore qualche mese fa (…)
Questa spedizione al Latok, nata “di nascosto” e dall’esito tutt’altro che scontato, comunque difficilmente finirà sulle pagine dei giornali, ma rappresenta lo “sport” (estremo) allo stato più puro. Per questo la seguirò, come seguo Salvaterra da tempo nel suo blog (da cui ho copiato il pezzo di Spreafico) augurandomi che possa riuscire nel duro compito.
Vi terrò aggiornati.
7 commenti:
L'alpinismo è secondo il mio punto di vista soprattutto ricerca: dei propri limiti, di cime o pareti inviolate, di luoghi o situazioni sconosciuti, di sè stessi, di amici e credo che l'attività di Salvaterra in questi anni sia stata indirizzata proprio in queste direzioni al di là dei clamori mediatici che altri hanno saputo suscitare meglio di lui. Tieni comunque presente che per praticare questo sport ad un certo livello è necessario allenarsi in modo professionale, metodico e quotidiano per cui sono necessari degli sponsor che vengono contesi dai vari alpinisti in modo a volte veramente scorretto. Ho conosciuto diversi alpinisti professionisti e, a parte qualche raro caso, sembra che la loro maggiore preoccupazione sia quella di scerditare quello che fanno gli altri. Purtroppo ad alti livelli c'è agonismo soprattutto per poter avere come ti dicevo maggior numero di sponsor; però l'agonismo avviene in luoghi dove non ci può essere nè pubblico nè arbitri per cui molti barano e tirano frequentemente a sputtanare l'attività degli altri denotando una assoluta mancanza di sportività. E' per questo motivo che non mi entusiasma l'alpinismo agonistico anche se proabilmente Salvaterra esce un po' da questa logica. Tieni presente che lo sport è bello anche quando non viene praticato da professionisti e a me piace soprattutto a livello giovanile. L'hanno scorso a Bologna ci sono state le finali U19 di basket cui ho assistito ed ho visto delle partite veramente entusiasmanti per carica ed intensità agonistica. Ultima cosa a me lo sport è sempre più piaciuto praticarlo che guardarlo..... Ciao a presto
Come mai ultimamente così pochi interventi nel Blog?
L'alpinismo è secondo il mio punto di vista soprattutto ricerca: dei propri limiti, di cime o pareti inviolate, di luoghi o situazioni sconosciuti, di sè stessi, di amici e credo che l'attività di Salvaterra in questi anni sia stata indirizzata proprio in queste direzioni al di là dei clamori mediatici che altri hanno saputo suscitare meglio di lui. Tieni comunque presente che per praticare questo sport ad un certo livello è necessario allenarsi in modo professionale, metodico e quotidiano per cui sono necessari degli sponsor che vengono contesi dai vari alpinisti in modo a volte veramente scorretto. Ho conosciuto diversi alpinisti professionisti e, a parte qualche raro caso, sembra che la loro maggiore preoccupazione sia quella di scerditare quello che fanno gli altri. Purtroppo ad alti livelli c'è agonismo soprattutto per poter avere come ti dicevo maggior numero di sponsor; però l'agonismo avviene in luoghi dove non ci può essere nè pubblico nè arbitri per cui molti barano e tirano frequentemente a sputtanare l'attività degli altri denotando una assoluta mancanza di sportività. E' per questo motivo che non mi entusiasma l'alpinismo agonistico anche se proabilmente Salvaterra esce un po' da questa logica. Tieni presente che lo sport è bello anche quando non viene praticato da professionisti e a me piace soprattutto a livello giovanile. L'hanno scorso a Bologna ci sono state le finali U19 di basket cui ho assistito ed ho visto delle partite veramente entusiasmanti per carica ed intensità agonistica. Ultima cosa a me lo sport è sempre più piaciuto praticarlo che guardarlo..... Ciao a presto
Come mai ultimamente così pochi interventi nel Blog?
E' la curva gaussiana degli interessi, degli impegni e delle stagioni ... :-)
Veramente pessimo l’ambiente degli alpinisti professionisti, una lobby chiusa, composta da persone con un ego enorme.
Uomini e donne (queste ultime molto peggio degli uomini) ambiziosissimi, che pensano solo a sé stessi ed al loro successo.
Forse (anzi, sicuramente) sono troppo drastico e cattivo nei miei giudizi, ma mi ero già fatto questa idea dopo anni di letture di libri di alpinismo e conoscendo un noto alpinista professionista (parente di mia moglie).
E ora le parole di Andrea, mi confortano in questo giudizio.
=
Guarda Massimo che gli alpinisti professionisti si comportano nè più nè meno che altri componenti di una società ormai marcia dove l'unica cosa che conta è l'affermazione personale per avere più potere e denaro. Anche nel mondo della pallacanestro è la stessa cosa: gente completamente incapace che pur di avere una squadretta da allenare a 250/300 € al mese ti sparla dietro fino all'inverosimile senza tra l'altro avere mai il coraggio di guardarti nelle palle degli occhi. Io per fortuna mi ritengo molto diverso in tutte le cose che ho fatto nella mia vita. L'unico barlume di ottimismo me lo danno i giovani, la voglia che hanno di lottare per cambiare questo stato di cose magari facendo volontariato ed occupandosi veramente di chi ha bisogno. Vi devo dire comunque che la maggior parte dei ragazzi che ho allenato in 16 anni di attività mi hanno sempre gratificato e mi ha sempre riconosciuto la mia buona fede e questo mi conforta. Tornando all'alpinismo non tutti poi sono così. Nell'88 ho consciuto personalmente Alessandro Gogna che è anche venuto a cena a casa mia con sua moglie e vi assicuro che, nonostante sia a mio avviso uno dei più grandi ed innovativi climber di sempre, è una persona magnifica, come tanti altri. L'alpinismo al di là delle competizioni delle, cattiverie che ci sono state sempre e sempre ci saranno, resta comunque una attività umana estremamente affascinante dove se bari il primo a rimetterci sei tu. Altre figure poi furono penalizzate od esaltate per le loro idee politiche che avevano magari esternato in un momento di disattenzione. Mi viene in mente il grandissimo Cesare Maestri che fu penalizzato nella sua ttività per il fatto di essersi dichiarato negli anni 60/70 di sinistra e che era un alpinista eccellente. Ritengo comunque che andare in montagna sia un ottimo modo per conoscere sè stesso e per accettare i propri limiti e come dice Messner il miglio alpinista è quello che riporta la pelle a casa.
Un grazie di cuore a tutti voi. Se trovo i soldi ritornerò di sicuro. Ciao e grazie ermanno
Devo dire che mi sento incredibilmente onorato dall'intervento nel blog di uno dei più grandi alpinisti italiani viventi: chissà come ci ha scoperto? Per conto mio seguo da tempo il sito di Ermanno Salvaterra che vi consiglio ancora in quanto oltre che di immagini straordinarie su imprese al limite, contiene un blog da cui traspaiono un'umanità e una poesia ormai merce rara di questi tempi. E per Andrea e Massimo P. che so appassionati di alpinismo: se vi capita leggete "L'uomo del Torre", il suo libro di quest'anno, un qualcosa di diverso nel panorama editoriale sulle montagne.
Grazie Herman!
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