domenica 19 aprile 2009

AVVISO AI LIBERISTI

Cari amici trovo navigando questa breve pagina di Ostellino che parla del suo ultimo libro e lo sottopongo volentieri al vostra vaglio, abbiamo gia trattato il tema e visto che il nostro blog è popolato di liberali (che lo sono o in qualche modo si definiscono tali) mi sembra questa una buona occasione per approfondire.
Un salutone e per gli appassionati martedì sera passa in prima serata su rete 4 "The missing" con T. L. Jones buon western che consiglio anche a Valeria. Il regista è quello di "Beatiful mind"Ron Howard sullo schermo negli anni '80 il migliore amico di Fonzie.

"Un Paese tra dittatura della burocrazia e saccheggio delle risorse pubbliche
Nazione di sudditi allergica al liberalismo
Il nuovo saggio di Ostellino: l'arte di arrangiarsi in Italia sotto il giogo dello «Stato canaglia»
Piero Ostellino (Agf)Un Paese paralizzato da un numero spropositato di leggi e regolamenti; soffocato da una cultura burocratica invasiva e ottusa; gestito da una pubblica amministrazione pletorica, costosa e inefficiente e, non di rado, corrotta; vessato da un sistema fiscale punitivo per chi paga le tasse e distratto nei confronti di chi non le paga; prigioniero di corporazioni e interessi clientelari; nelle mani, da Roma in giù, della criminalità organizzata. Un Paese in inarrestabile declino culturale, politico, economico, che non è ancora precipitato agli ultimi gradini tra i Paesi industrializzati dell'Occidente solo grazie allo spirito di iniziativa e alla proiezione internazionale della media e piccola imprenditoria. Questa è l'Italia oggi. C'è l'Italia degli italiani e c'è lo Stato italiano. Per intenderci: ci sono gli italiani, come singoli individui; c'è lo Stato italiano, come «soggetto collettivo». La definizione può sembrare paradossale e persino contraddittoria. E, in realtà, lo è. Chi ritiene che la fenomenologia sociale sia empiricamente descrivibile solo riconducendone le dinamiche agli individui ne sarà scandalizzato.
Per l'individualismo metodologico, i soggetti collettivi — le istituzioni, il mercato, il capitalismo eccetera — non hanno, infatti, vita propria, non pensano, non agiscono, bensì altro non sono che l'interazione, in una società aperta e liberale, fra individui che perseguono autonomamente il proprio ideale di vita e i propri interessi, producendo con ciò inconsapevolmente un beneficio collettivo. Il bene comune, l'utilità sociale, l'interesse generale eccetera sono, al contrario, una invenzione della politica. Rassicuro subito chi si sia scandalizzato. Ritengo anch'io che l'individualismo metodologico sia la sola metodologia della conoscenza corretta, in quanto, per dirla con Popper, empiricamente verificabile alla prova della realtà effettuale. La divisione dell'Italia in due — l'Italia (al plurale) dei singoli individui, ciascuno dei quali pensa e agisce sulla base delle proprie personali convinzioni; e l'Italia (al singolare), come soggetto collettivo, autoreferenziale, che li (mal)governa sulla base di principi e leggi che essa stessa si è data — è, dunque, solamente un artificio retorico. Gli italiani, anarcoidi e conservatori, privi di senso civico e di senso dello Stato, e perciò sudditi invece di cittadini; gli italiani che non si mettono in fila alla fermata dell'autobus, ma neppure si ribellano alla propria condizione di sudditanza; ingegnosi, flessibili, pragmatici, camaleontici sono l'Italia al plurale. Che «si arrangia », che se la cava.
Questi italiani sono il paradigma schizofrenico di ciò che la cultura liberale anglosassone chiama, con ben altra dignità storica e politica, «società civile» rispetto alla «società politica» dalla quale rivendica la propria autonomia. Che da noi l'ordinamento giuridico non garantisce e nessuno rivendica; tutti si prendono, quando possono. Sottobanco. La nazione, lo Stato, la collettività, giù, giù lungo i loro indotti pubblici — ieri, il (vergognoso) primato della razza; oggi, l'(indefinibile) utilità sociale, e tutte le altre sovrastrutture ideologiche che hanno segnato la storia del Paese — sono l'Italia soggetto collettivo. La camicia di forza che il potere politico del momento e la cultura dominante, l'ideologia come falsa coscienza — fascista e/o comunista, corporativa e/o collettivista, comunitaria e/o statalista che fosse, sempre e comunque antindividualista — hanno imposto agli italiani. Incolta, retorica, dogmatica, bigotta, burocratica, poco o punto flessibile, legalista e imbrogliona, questa Italia trasformista e gattopardesca — che cambia qualcosa per restare sempre la stessa — è una sorta di «8 settembre permanente». Istituzionalizzato.
Da un lato, ci sono la costante imposizione di un controllo pubblico, illegittimo e contraddittorio, sulle libertà dei singoli, e l'ambigua pretesa che sia rispettato; dall'altro, c'è la tacita esenzione da ogni vincolo d'obbedienza sottintesa nella frase liberatoria «tutti a casa» che l'8 settembre 1943 percorse la linea di comando delle nostre Forze armate, abbandonate a se stesse dopo l'armistizio. È di questa Italia incasinata e un po' cialtrona, intimamente illiberale, che parlo. Non per fare l'elogio degli italiani come singoli individui ma per spiegare l'incapacità del Paese di entrare nella modernità e di stare, culturalmente, politicamente, economicamente, al passo con gli altri Paesi di democrazia liberale dell'Occidente capitalista. Non è l'elogio dell'antipolitica, oggi tanto di moda. Anzi. Ci mancherebbe, soprattutto da parte di un liberale. È, piuttosto, la denuncia dell'invasività della sfera pubblica nella sfera privata. La descrizione di come la nostra politica non sia più, e da tempo, ammesso lo sia mai stata, al servizio dei cittadini, ma li abbia posti al proprio servizio. Dello «Stato canaglia». L'eccessiva estensione della sfera pubblica — che la cultura statalista e dirigista tende a spacciare come veicolo di equità sociale — è, infatti, più accrescimento del potere degli uomini a essa preposti sulle libertà e sulle risorse dell'individuo, che criterio di governo. La leva fiscale, per alimentare una spesa pubblica riserva di caccia di interessi estranei a quelli generali, ne è lo strumento, anche se non il solo, di oppressione.
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Non occorre essere marxisti per sapere che lo Stato non è neutrale, ma è il braccio armato degli interessi di chi ne detiene il controllo, se non è controbilanciato da principi e interessi alternativi, fra loro in competizione. È sufficiente essere liberali. Del resto, in questo continuo confronto fra differenti concezioni del mondo, senza che nessuna abbia la pretesa di essere la Verità e di imporla agli altri, è dalla pluralità di interessi in conflitto — mitigato solo da regole del gioco che non consentano a nessuno di impedirne la libera manifestazione e la corretta realizzazione — che si sostanzia la società aperta. Il liberalismo non è una dottrina chiusa — che dice agli individui quale è il loro interesse e ne prescrive i comportamenti — ma la dottrina dei limiti del potere e della società aperta, all'interno della quale ciascuno si presume sappia quale è il proprio interesse e, di conseguenza, lo persegue in autonomia. Il guaio è che di liberalismo, nella vita pubblica degli italiani, non c'è traccia. E ci vorranno, forse, generazioni perché vi si affacci".

Mi aspetto un vigoroso dibattito!!

roberto

2 commenti:

claudio ha detto...

Due parole subito Roberto, secondo me l’italiano è assolutamente atipico fra i cittadini delle civiltà cosiddette grandi. Perché non ha in linea di massima alcun senso civico: lo vediamo ogni giorno in chi parcheggia in doppia fila, non fa le file, non si fa dare le ricevute fiscali, paga in nero. Al Nord (in minor misura) come al Sud con poche virtuose eccezioni. Perché? Al di là del fatto che nella scuola italiana l’educazione civica sia sempre stata trascurata , noi facevamo sì e no un’oretta e manco ricordo con chi, l’educazione stessa che danno le famiglie è viziata all’origine. Da generazioni la nostra celebrata arte di arrangiarsi, i nostri straordinari talenti in tutti i campi del sapere umano, eredi “genetici” dei nostri grandi scienziati del passato, vengono spesso tristemente asserviti a un egoismo di cortile e a una filosofia del tiriamo a campare (il meglio possibile per noi e al diavolo tutto il resto). La classe politica ”ladrona” da sempre è figlia in fondo di chi la vota. Il favore prevale sulla meritocrazia a dispetto di tutte le teorie economiche. Sono pessimista: non cambieremo mai. Sono ottimista: ce la caveremo sempre. Aspetto con curiosità l’intervento di Massimo F. e degli altri e intanto ti saluto con affetto.

Massimo F. ha detto...

A me il pezzo di/su Ostellino ha fatto venire in mente una vecchia canzone sanremese (del Festival in bianco e nero con due interpreti per ogni canzone) che, se ben ricordo, era allora cantata da Giorgio Gaber e Memo Remigi: E allora, dai !
Il refrain diceva: "e allora dai, le cose giuste tu le sai. e allora dai, dimmi perchè poi non le fai ?".
Ecco Ostellino, indubitabilmente, ha scritto giustamente (a parte la solita, banale, equiparazione tra Fascismo e comunismo) ma appartiene alla casta, nel suo caso giornalistica, che predica bene e razzola male, malissimo.
Da liberale (ma solo in economia, sui Valori sono Conservatore, anzi Reazionario ! ;-) e da professionista in materia legale, non posso che confermare la denuncia sulle troppe leggi che infestano la nostra società.
La burocrazia che è rappresentata anche dai 4,5 milioni di dipendenti pubblici (il doppio della Gran Bretagna !).
Ma anche gli oneri (impropri) a carico del bilancio statale che alterano il normale equilibrio di mercato.
Anche nella stampa.
Molti giornali non sopravviverebbero senza i contributi dello stato e uno stato liberale dovrebbe invece garantire che sia il mercato a decidere chi deve chiudere e chi ha la forza di continuare ad essere presente.
Credo che tutti noi sappiamo cosa sia "giusto", poi, però, al dunque "teniamo famiglia" e agiamo perchè a "pagare" siano sempre gli altri.
In ultimo sul terremoto in Abruzzo.
A me ha profondamente irritato la reazione delle c.d. onlus che hanno reagito chiassosamente alla giusta proposta di Tremonti di dare la possibilità ai contribuenti di destinare il 5 per mille anche alla ricostruzione.
Sono insorti: giammai !
Per il terremoto, piuttosto, meglio imporre nuove tasse (per fortuna Berlusconi e Tremonti sembra vogliano mantenere gli impegni elettorali ...).
E perchè Ostellino non obietta su norme che impediscono la libera espressione delle proprie idee ?
Non mi sembrano un esempio di liberalismo (cioè di Libertà) la XII disposizione transitoria della costituzione, la c.d. legge Scelba e la c.d. legge Mancino.
E dietro l'angolo c'è una direttiva europea ancor più liberticida.
Ma Ostellino non ne parla.
Se si vuole essere liberali, inteso in senso lato, lo si deve essere a 360 gradi, garantendo a tutti la libera espressione delle idee (di qualunque idea) e se si è convinti della superiorità del proprio progetto non si ha paura del confronto o dello scontro.
Si paga in nero, Claudio, perchè lo stato già prende anche troppo in tasse. Meno tasse (ma MOLTE meno, non uno o due miserrimi punti, perchè non servirebbe a nulla ridurre l'imposizione dal 43 al 41, servirebbe una flat tax, ad esempio, al 20%) ed ecco che saremmo tutti più virtuosi.
Io ci spero ancora. Uno stato come terzo che possa garantire, con equità ed efficienza, il regolare rapporto tra privati, garantendo a tutti la loro libertà e sicurezza.
Sono comunque d'accordo con Claudio: ce la caveremo sempre ;-)