domenica 5 ottobre 2014

L'arte del comando

Ogni organizzazione grande o piccola che sia, da uno stato ad una bocciofila, funziona in quanto chi comanda è in grado di esercitare il suo ruolo.
Tanto maggiori sono i passaggi burocratici, parlamentari, compromissori che un provvedimento deve svolgere, tanto minore è la sua efficacia.
Insomma una precisa gerarchia con un vertice in cui, alla fine, uno e uno solo comandi è il segreto di una efficiente azione amministrativa.
Io mi ricordo, prima delle leggi che trasformarono le società di calcio in spa e poi (legge Meandri) anche eliminando il limite della mancanza di finalità di lucro, come erano gestite le società di calcio.
Poche manfrine, il presidente comandava, vendeva e comprava giocatori, non aveva obbligo di redigere bilanci con particolari parametri e scadenze e se le cose funzionavano, poteva anche guadagnarci, se non funzionavano perdeva e anche tanto.
Poiché però nello sport uno vince e tutti gli altri perdono, per quanto la vittoria fosse maggiormente ripartita tra le varie squadre principali, c’erano sempre pochi che guadagnavano e tanti che perdevano.
Da qui la definizione dei presidenti delle squadre di calcio come “ricchi e scemi”, ricchi perché dovevano avere un robusto patrimonio per compare e gestire una squadra, scemi perché quel patrimonio era destinato ad essere intaccato pesantemente dalla passione.
Quel presidente è stato mirabilmente interpretato da Alberto Sordi ne Il presidente del Borgorosso Football Club.
Anche adesso chi detiene una squadra di calcio deve avere un robusto patrimonio, anche se con la storia della spa, risulta impegnato solo in quanto prestatore di garanzie personali.
Vi sono anche limiti imposti dal politicamente corretto (come le limitazioni agli acquisti ed agli ingaggi) sistematicamente violati che incidono solo come paravento per chi non vuole più spendere e trova in essi un comodo salvagente dalla rabbia dei tifosi.
Tifosi che, da parte loro, non spendono nulla se non il biglietto per lo stadio o l’abbonamento alla televisione, ma coprono di insulti chi ci mette del suo se i risultati non vengono.
E’ il caso del Bologna.
Dopo il tentativo dell’azionariato diffuso, fallito, seguito alla meteora Porcedda, il Bologna è finito, come doveva essere, nelle mani maggioritarie di un solo soggetto, Albano Guaraldi.
Non so cosa avesse in mente, sicuramente era convinto di potercela fare, ma aveva fatto i conti male e così il Bologna si è ritrovato in crisi e, con la retrocessione, Guaraldi è andato in debito di ossigeno (pagheremo per tale ragione anche un punto di penalità per il ritardato pagamento dell’irpef sugli stipendi dei calciatori).
La piazza si è rivoltata e Guaraldi ha cercato compratori.
Si sono presentate alcune cordate respinte perché Guaraldi non le riteneva adeguatamente garantite.
Molto avanti è andata la trattativa, quasi chiusa, con gli “Americani” (Joe & Joy) che avevano saputo conquistare il sostegno della piazza con una accattivante marketing sostenuto dal quotidiano della Città (il Carlino) .
Alla fine è arrivato il Re del Caffè, Massimo Zanetti, che ha sottoscritto l’intero aumento di capitale, prendendosi la maggioranza e dando al Bologna, per la prima volta dopo molti anni, una guida certa, stabile e con le spalle forti, cioè con il portafogli ben fornito.
Incredibilmente i tifosi non hanno gradito.
Ma io preferisco Zanetti agli Americani.
Preferisco un presidente che, mettendoci la faccia, sia, se non del posto (Zanetti è di Treviso) ma con interessi anche a Bologna, piuttosto che personaggi che non hanno alcuna radice a Bologna.
I loro milioni, in mancanza di meglio, sarebbero stati i benvenuti, ma chi ci garantisce che alle prime difficoltà non avrebbero mollato tutto ?
Per Zanetti, invece, mollare sarebbe più difficile e se lo facesse (personalmente non ritengo concluse le vicende societarie) avrebbe tutto l‘interesse a cedere il Bologna in mani sicure e non ad un improvvisato presidente.
Sì, perché un magnate dell’industria, che sia del caffè o delle mozzarelle non importa, ha creato il suo impero grazie alla capacità di comandare che implica di scegliere gli uomini giusti per gestire i vari settori della sua attività.
Zanetti ha dimostrato di saper esercitare l’arte del comando e anche nel calcio ha individuato il suo uomo di settore cui delegare l’azione che dovrà riportare il Bologna in serie A e, magari, far cessare i campionati sconsigliati per deboli di cuore che abbiamo avuto dal 2008 ad oggi.
E’ un bene che Bologna abbia ritrovato Zanetti, a prescindere dal tempo che vorrà restare in questo settore.
Potrà dare alla società quella stabilità che un bravo amministratore può garantire anche per quando lui non sarà più tale.



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