Il calcio è lo sport più diffuso, praticato e soprattutto seguito d'Italia.
E' una piccola guerra, fatta rincorrendo un pallone per metterlo nella rete avversaria.
E' anche lo specchio dell'Italia.
A differenza del ciclismo, che sapeve unire nelle imprese dei campioni e riuscì anche ad evitare la guerra civile dopo l'attentato a Togliatti con la vittoria di Bartali al tour de France, il calcio divide.
Perchè lo conosciamo tutti e tutti abbiamo una nostra idea, ovviamente la migliore.
Così la sconfitta con la Svezia e la esclusione dalla fase finale in Russia, diventa il primo argomento nei radio e telegiornali e anche trasmissioni serie, come Rdio anch'io, sentono il bisogno di parlarvi sopra.
Eppure cosa possiamo sperare da un movimento calcistico che, come ha riportato recentemente un articolo del Carlino, su 575 calciatori tesserati in serie A, ne registra ben 296 stranieri ?
E sicuramente tra i 279 non stranieri suppongo che abbiano inserito gli Eder, i Jorginho, gli El Sharawi che proprio italiani non definirei.
Le due squadre milanesi sono proprietà cinesi.
Il Bologna canadese, la Roma statunitense.
E' come la politica che deve rispondere non agli elettori, ma alla consorteria di Bruxelles che impone direttive, rigidità di bilancio, "riforme".
Allora non meravigliamoci se anche il calcio, il nostro calcio, rispecchia lo sfacelo di uno stato che non ha perso il vizio di dipendere dagli stranieri.
Franza o Spagna purchè se magna.