lunedì 12 luglio 2010

Il calcio italiano sia ... ITALIANO

Come promesso (o minacciato ?) ecco che programmo la pubblicazione del mio post sul calcio.
Se blogspot funziona dovrebbe vedere la luce alle 18.30 di lunedì 12, quando sarò già al fresco naturale della montagna.
Dal cassetto ho tirato fuori altre 8 riflessioni che ho spalmato nel mio blog personale durante la mia assenza ... ma ve le risparmio :-).
Buona permanenza (sarò reperibile solo sul cellulare, internet non c'è o, almeno, non c'era fino a qualche mese fa ...).
M.



Il risultato dei campionati mondiali di calcio deve far riflettere.
Personalmente ritengo che Lippi abbia fatto il possibile, convocando i migliori e più meritevoli (sotto il profilo tecnico/tattico e comportamentale) giocatori Italiani.
E questo la dice lunga sulla crisi in cui si dibatte il nostro sport nazionale.
Il problema non è il commissario tecnico (che pure non è completamente esente da colpe, perchè pur con il materiale umano disponibile almeno il primo turno era alla nostra portata) o la convocazione di questo o quello e non deve neppure essere affrontato con la trasformazione della Nazionale in una squadra meticcia, orba dell'identità nazionale, come quella francese, dove i nove undicesimi sono estranei alla nazione francese, con i risultati (anche di ingiustificato ribellismo, pessimo esempio per la gioventù) che hanno mostrato al mondo.
La Federazione Giuoco Calcio deve invece agire sulle regole per aprire maggiori spazi ai calciatori italiani.
La Spagna ha portato ai mondiali sette calciatori del Barcellona e cinque del Real Madrid.
L’Italia nessuno dell’Inter vincitrice del campionato.
Per forza, l’Inter gioca con undici stranieri e nella sua rosa gli italiani si contano sulle dita di una mano: Materazzi (ma certi suoi atteggiamenti non mi sembrano da Nazionale), Toldo (un buon portiere che giocò in Nazionale finchè non divenne panchinaro all’Inter che gli preferisce un brasiliano), Santon (peraltro bloccato in infermeria nel momento topico) ... e non mi sovviene nessun altro.
Consentire ancora questa anomalia è un doppio errore.
In primo luogo perchè si fornisce ai giocatori stranieri un formidabile palcoscenico per crescere e migliorarsi, portando quindi vantaggi alle rispettive nazionali e danneggiando di pari passo quella italiana.
Mi viene in mente il caso dei portieri brasiliani, fino a 10-15 anni fa alquanto scadenti ma che, dopo la preziosissima (per lui e il suo Brasile, non certo per noi) esperienza italiana di Taffarel sono cresciuti ed oggi hanno due/tre elementi ad un livello di eccellenza (che giocano titolari nelle squadre italiane, guarda caso le prime tre classificate nel Campionato, togliendo spazio ai nostri giovani e danneggiando la nostra Nazionale).
Ma anche la possibilità che hanno difensori e attaccanti stranieri di confrontarsi con le nostre tattiche, portano indubbi vantaggi alle loro nazionali, che spesso e volentieri giocano "all'italiana".
Altrettanto dicasi per il calcio "emergente", dove, soprattutto gli africani, sono stati aiutati dalla presenza nelle squadre europee a crescere costantemente, ovviamente a scapito delle rappresentative nazionali del Vecchio Continente.
Il livellamento del calcio internazionale è figlio di questi continui travasi, a senso unico: quanti giocatori europei giocano nei campionati sudamericani o africani ?, creati da una legislazione sciocca che considera i calciatori lavoratori dipendenti e, quindi, apre loro le porte del libero mercato (e allora dove è andata a finire la specificità dello sport che ha pure suoi organi di giustizia ?) e dalle ambizioni dei presidenti che preferiscono nomi esotici ai nostri Rossi e Brambilla che, forse, non suscitano le fantasie dei tifosi.
Le nostre squadre di club imbottiscono le loro rose con ogni straniero disponibile, tanto che si potrebbero formare le rispettive nazionali solo con i calciatori che giocano nei nostri campionati.
Non vi è però altrettanto interesse all'estero per i calciatori italiani (tranne quelli a fine carriera che finiscono in America o negli Emirati Arabi giusto per arrotondare quanto hanno già guadagnato negli anni) che dubito potrebbero mettere assieme una rosa tra tutti gli espatriati, il tutto con grave detrimento per i giovani che, da noi, sono chiusi dai già affermati calciatori extracomunitari.
Può però essere regolato l’uso degli stranieri, senza subire la ghigliottina delle normative sul mercato del lavoro europeo e globale.
Una squadra può avere in rosa tutti gli stranieri che vuole, ma può metterne in campo contemporaneamente solo, ad esempio, cinque, di cui uno solo extracomunitario.
Si può anche stabilire che almeno il 50% delle partite di campionato devono vedere in porta un giocatore italiano e che non può esserci più di uno straniero per ruolo (quindi un solo centrale, un solo centrocampista, un solo terzino d’ala, un solo attaccante).
In aggiunta si potrebbe dar corso ad una autentica rivoluzione del sistema dei nostri campionati, abolendo le retrocessioni e compilando i campionati in base alla capacità delle società di aggregare spettatori e di sostenere le spese per affrontare gli impegni finanziari.
L’abolizione della retrocessione consentirebbe di non obbligare i presidenti a ricercare il risultato immediato, quindi ad affrontare spese eccessive per calciatori affermati, spesso stranieri, consentendo loro di programmare, puntando sul vivaio, facendo giocare giovani italiani tra i quali potranno crescere i campioni che formeranno la Nazionale del futuro.
E’ protezionismo ?
Certo, ma se continuiamo con la politica della confusione e dell’inclusione,perderemo la nostra Identità e le nostre Radici sia per le questioni minori come il calcio, sia su temi molto più importanti come i Valori e i Principi cui il nostro Popolo si è sempre informato per raggiungere i traguardi del Benessere, della Libertà e della Sicurezza che oggi abbiamo, ma che devono, ogni giorno, essere consolidati difendendo le nostre Tradizioni e i nostri Prodotti, non solo dell’agricoltura.

lunedì 28 giugno 2010

curiosità ... mondiali



Sono stupefatta perchè nessuno di voi ha ancora commentato l' esclusione dal mondiale dell' Italia.
Da assoluta profana ho avuto la sensazione che:
1: BUFFON ci avrebbe salvato da quell' infilata di goal subiti dall' altro portiere (Marchetti? Marchini?), che mi è apparso, magari a torto, assolutamente incapace; mi chiedo: possibile che non vi fosse un sostituto migliore?
2: Quagliarella ( dell' esistenza del quale nulla sapevo...) fatto giocare prima, magari insieme a Pirlo, avrebbe cambiato le sorti dell' ultima partita....
3: durante l' anno ho sempre sentito parlare di Balottelli: perchè è stato lasciato a casa?
4: che idea avete di Lippi?

Illuminatemi...:-)

mercoledì 2 giugno 2010

Troppe "feste nazionali"

Ancora una volta mi permetto di sottoporvi il mio pensiero su un argomento di carattere politico generale che ugualmente posterò nel mio blog personale generalista.
Questa volta lo spunto è venuto dalla odierna giornata festiva, 2 giugno.


Approfittando della giornata infrasettimanale di vacanza, ho continuato a mettere mano nel riordinare carte, librerie e cantina.
Come al solito ho acceso la radio, come sempre su radio uno (solo in montagna, quando guido, ascolto radio 24 perchè non riesco a captare radio uno) .
Un fiume di parole, un'orgia di retorica celebrante il 2 giugno, in memoria del referendum che portò l'Italia alla repubblica e, arbitrariamente, come “Festa delle Forze Armate” che io mi ricordo molto più appropriatamente fissata, una volta, al 4 novembre.
L'europarlamentare leghista Matteo Salvini ha proposto l'abolizione del 2 giugno e, se la memoria non mi inganna, in effetti il 2 giugno, alla fine degli anni settanta, fu ricompreso tra le “ex” festività.
La proposta di Salvini non mi lascia indifferente per una serie di motivi.
Innanzitutto perchè trova sempre più credito la denuncia che il famigerato referendum istituzionale del 2 giugno 1946 sia stato soggetto a brogli a favore della repubblica ai danni della monarchia destinata alla sconfitta comunque avessero votato gli Italiani.
Se così fosse, oggi al Quirinale dovrebbe risiedere un Savoia e avremmo un re, Vittorio Emanuele IV: nulla di esaltante (anzi ...) ma sempre meglio di un comunista (anche se il mio candidato come Re d'Italia resta Silvio Berlusconi …).
Non che la questione istituzionale sia essenziale, ma mi sembra un po' ipocrita festeggiare un qualcosa sorto da un probabile imbroglio.
Del resto anche sui plebisciti che annessero l'Emilia e il Veneto al Regno di Sardegna creando quindi il Regno d'Italia, cioè quella Unità di cui, con la solita roboante retorica, si è già iniziato a festeggiare il 150° anniversario, crescono le interpretazioni che ne denunciano i possibili brogli ed è singolare che sulle celebrazioni che maggiormente impegnano l'inutile oratoria dei politici cali il dubbio dell'imbroglio o della manipolazione storica.
Forse è quel che si merita una Nazione, altrimenti gloriosa, che meriterebbe non una pletora di festività nazionali, per ognuna delle quali si ripetono i soliti pistolotti retorici, ma una e una sola giornata che sia autentica Festa Nazionale, unificante e sentita come accade negli Stati Uniti il 4 luglio o in Francia il 14 dello stesso mese.
Poi liberi tutti di celebrare le ricorrenze che maggiormente rappresentano i loro sentimenti di parte.
Nella recente storia d'Italia la data che maggiormente potrebbe rappresentare tale Unità è il 4 novembre, in memoria dell'unica Vittoria delle nostre Forze Armate in una grande guerra e del ricongiungimento alla Madre Patria di Trento, Trieste e Istria.
Ma, forse, sarebbe meglio che, anche per chiarire quali sono le nostre radici, la Festa Nazionale unica e legittima, sia il 21 aprile, Natali di Roma.
4 novembre o 21 aprile, purchè si decida di fissare una e una sola Festa Nazionale, perchè la quantità debordante danneggia il significato e l'impatto del richiamo.

lunedì 17 maggio 2010

ciao



cari Amici,

come va?

Io male e bene.

MALE perchè sta arrivando la fine dell' anno scolastico e ho un sacco di verifiche da correggere e riunioni pomeridiane pressochè ogni giorno.

Bene perchè sta arrivando la fine dell' anno scolastico e sto per finire l' incubo delle verifiche da correggere e delle riunioni pomeridiane...almeno per tre mesi.

Naturalmente incombe il pericolo maturità, e poichè da dieci anni a questa parte non perdo mai un colpo, nel senso che sono immancabilmente nominata, non vedo il motivo per cui sperare di farla franca quest' anno.

Eppure, io, come ogni anno e contro ogni logica ...SPERO!

Ho proprio voglia di andare nel mio mare. A proposito, ho trascorso là un fine settimana e vi comunico che la vetrata nuova è un portento.

Avrete notato che sono tornata indenne da Siviglia...Anche questo non era poi così matematico, visto che sono stata colta dalla nube e che sono rimasta bloccata là per quattro giorni oltre il termine previsto.... Ma si sa: queste variazioni di programma non possono che essere bene accette!

Siviglia mi è strapiaciuta (ma nulla a che vedere con Barcellona, che, avendo Gaudì, non ha per me rivali) , anche se consiglio, a chi di voi volesse visitare l' Andalusia, di organizzare un bel "fly and drive": i ritmi e i colori di questo paese vanno "assaporati" vivendoli, nei locali, nelle notti, nei mille angoli caratteristici.

Il flamengo è una danza struggente che entra nell' anima e la serata che ho più amato è stata in un locale tipico, frequentato da sivigliani oltre che da turisti, di nome "Carboneria".

La peculiarità è che qualunque avventore può improvvisarsi protagonista, ballando, recitando, leggendo testi, ecc ecc....Insomma, due clienti si sono messi a ballare il flamengo e devo dire che lo spettacolo è stato particolarmente affascinante...

Stupenda la vista dalla Giralda, noto campanile della città, e i Reales Alcazarez.L’Alcázar é un palazzo-fortezza la cui costruzione fu voluta da Abd Al Ramán III nel 913. Per la sua bellezza é stato scelto in passato come residenza da molte generazioni di monarchi. É qui che dimora il re Don Juán Carlos quando viene in visita a Siviglia. Meravigliosi i giardini con azuleios, vasche, padiglioni,ornamenti di marmo che sembrano pizzi e animali e piante di ogni tipo...situati nel cuore della città, oasi insospettabile! L' arena? La consolazione è che un torero in quei giorni è stato attaccato da un toro: ovviamente, io tifavo per il toro!

Sono stata anche a Cordoba: straordinaria la Mezquita Catedral, il più bel monumento dell'Europa musulmana

La Mezquita di Cordoba è l'espressione più alta dell'architettura islamica in occidente. La straordinarietà di questa moschea-cattedrale deriva dal fatto che alla bellissima costruzione musulmana si sono aggiunti stili rinascimentali, gotici e barocchi.

L'edificio attuale è il prodotto di una moschea iniziale costruita dal califfo Abderramán I sulla basilica visigota di San Vicente, che è stata ampliata poi da Abderramán II, Alhaken II ed Almanzor. La peculiarità principale della Moschea si percepisce immediatamente appena si varca la soglia del suo ingresso principale: una spettacolare infinità di colonne, circa 850, di marmo e granito che formano una serie di archi di pietra bianca e rossa. Le colonne e i suoi archi sembrano degli alberi di palme che si aprono a ventaglio nella sala. Elemento di grande rilievo all'interno della moschea è la qibla, il muro che sarebbe orientato verso la Mecca, indicando in questo modo il luogo in cui pregano i fedeli. Di suggestiva bellezza è anche il mihrab, la nicchia che custodisce il corano.

Vabbè, un po' di copia incolla non si nega a nessuno. Specie se, come me, si manca da tanto dal blog da aver perso un po' di dimestichezza. Eppoi, non intendo impegnarmi come voi in post di elevatissimo livello!Sono convinta però che apprezzerete la mia ridiscesa in campo...

Bacioni e a presto, ragazzi!


domenica 9 maggio 2010

Bologna calcistica è ancora in serie A

A differenza della Bologna politica (commissariata), di quella economica e imprenditoriale (colonizzata) e di quella sociale (insicura), la Bologna calcistica, con grande fatica (il minimo risultato con il massimo sforzo), è riuscita a garantirsi un altro anno in serie A.
Tifoso del Bologna dalla nascita, sono ovviamente contento di poter pensare ad un altro anno nell'Olimpo del calcio italiano e di questo un ringraziamento lo meritano i giocatori e l'allenatore Franco Colomba.
Mi piacerebbe però rivedere quel Bologna che giocava come in Paradiso, sul campo e non solo nelle cassette delle vecchie partite ...
Purtroppo il calcio è profondamente cambiato e se una volta una società che avesse una buona dirigenza, che sapesse programmare e investire oculatamente sui giovani, con acquisti mirati e senza follie poteva aspirare a campionati di vertice, oggi la differenza con chi spende e spande spudoratamente è tale da rendere un simile risultato pressochè impossibile.
E il Bologna, oggi, non ha neppure quel tipo di dirigenza.
Ed è proprio la dirigenza quello che a me sembra il punto debole della squadra.
Incertezze, scarsi mezzi (almeno messi sul piatto del Bologna), probabilmente l'acquisto della società in previsione di un “affare”, il nuovo stadio, poi sfumato (spero definitivamente, visto che è una sciocchezza costruire un nuovo stadio quando l'attuale è un piccolo gioiello e per di più in provincia!), stanno scandendo la presidenza e la proprietà Menarini.
Hanno probabilmente sbagliato a comprare e adesso non riescono a vendere.
Ben venga, allora, per interposta persona, Moggi che, almeno, di calcio ne capisce.
Bologna ha un bellissimo stadio e un pubblico esigente e competente.
Non ha e lo abbiamo scritto in premessa, una classe dirigente (politica, imprenditoriale, economica) all'altezza della situazione.
Lo abbiamo visto anche nella pallacanestro (una volta era “basket city” un patrimonio dilapidato in un paio di anni), nella pallavolo al limite della sopravvivenza e nello stesso baseball che ha dovuto ricostruirsi prima di tornare a vincere.
Si deve prima risolvere in via definitiva il problema societario e, quindi, organizzare una squadra decorosa che, veramente, sappia costruire un progetto calcistico di lungo respiro, senza inseguire le iniziative che fanno solo male al calcio (come le squadre costruite senza neppure un giocatore italiano tra i titolari e magari neppure l'allenatore) e che rischiano di alienare a questo bellissimo sport la simpatia di tanti appassionati.
Vidi, all'età di sette anni e mezzo, l'ultimo scudetto del Bologna : mi auguro ultimo solo in momentaneo ordine temporale e non in assoluto.
A quel Bologna, con la simpatie e le avversioni che si possono avere a sette anni e mezzo sono rimasto legato e quel Bologna non può che essere il traguardo per qualsiasi dirigenza si trovi a gestire la gloriosa società rossoblu.

giovedì 15 aprile 2010

Omaggio a Raimondo Vianello

Non vorrei trasformare questo blog in una "commemorazione dei defunti", ma Raimondo Vianello, deceduto questa mattina, rappresenta una parte indimenticabile del nostro "come eravamo".
Mi sembra giusto rendergli omaggio.


Un altro dei “Padri” della televisione italiana ha concluso la sua vita terrena, all’età di 87 anni compiuti.
Il nome di Raimondo Vianello dirà forse poco ai più giovani, ma rappresenta per quelli della mia generazione una figura positiva del nostro spettacolo.
Una delle tante figure positive, come fu Corrado Mantoni, come fu Alberto Lupo, come furono Virgilio Savona, Felice Chiusano, Tata Giacobetti e Mike Buongiorno e chiedo scusa ai tanti di cui non ho citato il nome ma che meriterebbero uguale spazio.
Una figura positiva, tra le tante del nostro spettacolo, perchè quelli erano artisti.
Sapevano interpretare.
Si esprimevano in italiano.
Sapevano farci ridere senza dover ricorrere agli insulti e alle volgarità.
Raimondo Vianello rappresentava nel mio personale immaginario tutto questo e anche qualcosa in più, ricordando la sua mai rinnegata partecipazione alla R.S.I.
I giornali radio e i telegiornali di oggi e i quotidiani di domani saranno pieni di quei “coccodrilli” e di tante scene tratte dagli spettacoli di Vianello.
A me piace, qui, ricordarlo in tre episodi.
Un, due, tre ... appunto il titolo di un programma condotto con Ugo Tognazzi, con il quale fece coppia artistica (certo non di altro genere !) per un lungo e felice periodo.
Fu esiliato dalla televisione per aver simulato una caduta dell’allora presidente Gronchi ... pensate alla differenza con il periodo odierno quando offendono impunemente e pur tuttavia gridano alla censura, ma continuando ad utilizzare il microfono e restando davanti alla telecamera pagati da tutti noi !
Gran Varietà, un programma radiofonico che ha accompagnato per anni il nostro risveglio domenicale e se anche ho sempre preferito Johnny Dorelli, pur tuttavia Raimondo Vianello è, a pieno titolo, il conduttore che, assieme a Dorelli, ha fatto la fortuna del programma.
Infine la sua “Casa Vianello” con la moglie Sandra Mondaini, con una rappresentazione televisiva di quelle schermaglie tra moglie e marito celebrate in radio da altri due grandi del nostro spettacolo: Rina Morelli e Paolo Stoppa con gli indimenticabili “Eleuterio e Sempretua”.
E poi tanti altri programmi, fino al riconoscimento della sua passione calcistica con la conduzione di trasmissioni sportive sulle reti Mediaset.
Trasmissioni, superfluo rammentarlo, educate, ironiche, gradevoli e sempre piacevoli.
Non si può poi non ricordare il coraggio di Vianello (e di Corrado, di Buongiorno e di pochi altri) agli albori delle televisioni libere, scegliendo di andarvi a lavorare, abbandonando il comodo porto della Rai.
E ancor più coraggio ci volle a sostenere le ragioni delle televisioni libere quando, nel 1996, fu tentato un referendum che avrebbe favorito la Rai e penalizzato la libera impresa e tutto , solo, in antipatia a Berlusconi.
Non posso quindi che ricordare con piacere e gratitudine e rendere omaggio con queste poche righe ad un grande professionista dello spettacolo e avere, come caro ricordo, quella video cassetta che mi fu regalata pochi anni fa, con alcune delle migliori scene di “Un, due, tre”.

martedì 13 aprile 2010

Il modello italiano per una riforma costituzionale

Quel che segue è la riproduzione di un post scritto sul mio blog personale.
Tanto per vivacizzare questo blog lo ripropongo. :-)


Ogni tanto, persino Fini riesce ad azzeccarne una.
E’ probabile che, per il 2010, abbia già esaurito il bonus e che la sua esternazione abbia un secondo fine, ma intanto registro con piacere un soprassalto di buon senso.
Cosa ha detto Fini di così straordinario ?
Beh, in assoluto di “straordinario” non ha detto nulla, ma usando il buon senso la “straordinarietà” è che, per una volta, non ha portato acqua al mulino della sinistra.
Fini ha detto: ma perchè, invece di ragionare in termini di “modello francese” o “modello tedesco” non introduciamo un “modello italiano” adatto alle nostre esigenze ?
Puro e semplice buon senso.
Dobbiamo poi intenderci su quali sono le nostre esigenze sulle quali costruire il “modello italiano”.
Prima di tutto, esigenza peraltro non solo italiana, è la governabilità, cioè la possibilità di dar corso al proprio programma da parte del partito o della coalizione vincente, superando e senza dover sottostare ai veti dell’opposizione, della magistratura, di altri organi dello stato.
La governabilità è quindi la possibilità, in forza di una maggioranza consegnata alle urne dal Popolo Sovrano, di applicare il programma, assumendosene la responsabilità politica, e superando sofismi e ostruzionismi.
Al termine della legislatura sarà il Popolo Sovrano a decidere se il governo ha funzionato bene meritando la riconferma, o male meritando di essere sostituito.
Come conseguire la governabilità in Italia ?
Anche qui si potrebbe aggiungere: non solo in Italia.
Una guida singola, un presidente eletto dal Popolo, con il potere di decidere e di agire senza dovr sottostare a compromessi e mediazioni.
Quindi presidenzialismo, nella sua forma primaria che vede unirsi nella figura del Presidente, come si dice negli Stati Uniti, quattro “cappelli”:
- Capo dello stato
- Capo dell’esecutivo
- Capo delle Forze Armate
- Capo del suo partito
.
L’alternativa può essere una scissione tra il capo dello stato e dell’esecutivo, utile se il primo sia veramente una figura super partes e non un prodotto della burocrazia o delle conventicole di partito, fermo restando il potere esecutivo nel soggetto che ottiene l’investitura direttamente dal Popolo.
Perchè questo dualismo possa funzionare vedrei comunque meglio un capo dello stato che sia un monarca ereditario, quindi sottratto ai compromessi, ai condizionamenti di una elezione parlamentare, un capo dello stato che, cioè, possa decisamente rappresentare l’unità della Nazione da una posizione super partes.
Ma l’Italia è anche una nazione in cui quando ci si trova in tre si formano subito due fazioni, per cui è necessario canalizzare e dare rappresentanza a numerose istanze particolari.
Pur essendo personalmente sempre stato a favore del bipartitismo, mi sono convinto che un tale sistema non è adatto all’Italia, dove invece il sistema elettorale dovrebbe essere tale da imporre ai movimenti rappresentativi delle idee più vicine di unirsi in coalizioni omogenee, all’interno delle quali misurare le proprie forze, con un patto di legislatura che impedisca i ribaltoni.
In questo quadro la attuale legge elettorale mi sembra la migliore possibile, con alcuni correttivi.
1) Il collegio unico nazionale anche per il senato;
2) la trasformazione del premio di maggioranza in seggi attribuiti ad un listino “del Presidente”;
3) la decadenza dei parlamentari che cambino coalizione
.
Ed ecco un “modello italiano” ben definito.
Un presidente capo dello stato e dell’esecutivo con pieni poteri per tutta la durata del mandato e un parlamento, con pluralità di partiti in rappresentanza – anche simbolica – di tutte le istanze della nazione, eletto su base maggioritaria ma con premio al listino del presidente vincente.
Alternativa un capo dello stato – meglio un monarca con una dinastia ereditaria – meramente rappresentativo della unità nazionale e un Premier eletto dal Popolo con gli stessi criteri e poteri di cui sopra.
Si unisce così la necessaria capacità e rapidità decisionale con l’assecondare le italiche peculiarità che fanno leva su un forte individualismo.

Entra ne

mercoledì 24 marzo 2010

Grido di Pietra


Il mondo dell’alpinismo mi ha sempre affascinato fin dai tempi in cui ne parlavo col nostro compagno Andrea G. apprendista rocciatore ai tempi dell’università. Un pomeriggio mi trascinò perfino a fare la ferrata che c’era a Badolo vestiti in borghese e con scarpe da città. Ma anche se non ho mai “praticato” mi sono fatto negli anni una raccolta di libri sulla montagna e grazie anche a Internet seguo costantemente le spedizioni qua e là per il mondo. Quello che mi stupisce e mi riempie di ammirazione per i grandi alpinisti è la capacità di affrontare ripetutamente negli anni situazioni sovrumane per quella che chiamano “la conquista dell’inutile”. Più della montagna in sé, che è ciò che in effetti li spinge, io che invece andavo sempre al mare ero e sono attratto dall’uomo “contro” la montagna. Nell’alpinismo ci sono drammi quasi quotidiani, ma tre sono stati quelli che hanno avuto un impatto mediatico assolutamente fuori dal comune nel dopoguerra. La tragedia dell’Eiger del 1957, con le cordate Nothdurft- Mayer, Corti-Longhi e la morte dei primi due e di quest’ultimo rimasto appeso in bella vista per due anni con tutto quel che ne seguì, ma ne parlerò magari un’altra volta e vi rimando ai libri che ne trattano ampiamente come “Arrampicarsi all’inferno” di J. Olsen. La tragedia del pilastro centrale del Freney sul monte Bianco nel ‘61 dove perirono Andrea Oggioni e tre francesi, si salvarono altri tre fra cui il grande Walter Bonatti che non potè salvarli tutti e qui vi raccomando “Freney 1961, Tragedia sul Monte Bianco” di M. Ferrari. Infine la spedizione ”commerciale” del 1996 all’Everest in cui morirono 9 scalatori fra guide e clienti di cui uno dei sopravvissuti, John Krakauer, ha scritto nel celebrato e controverso best seller “Aria sottile”. Denominatori comuni a queste tre tragedie sono stati l’improvviso cambiamento di clima, vero killer in montagna, e le infinite polemiche che ne sono seguite e che hanno segnato a volte per sempre la vita dei superstiti.
Ma a proposito di polemiche, clima che uccide, oltre a difficoltà estreme, non bisogna dimenticare la Patagonia e quando si dice Patagonia si dice Cerro Torre, una vetta alta "appena" 3128 metri eppure temuta come e più dei peggiori ottomila. E che nasconde un mistero che mi intriga. Che cosa successe lassù tra fine gennaio e inizio febbraio del 1959? Negli anni cinquanta vi furono diversi tentativi di salita al Cerro Torre. In particolare, nel 1958 due spedizioni italo-argentine tentarono la salita contemporaneamente ed in maniera indipendente tra di loro. Una era guidata da Cesare Maestri, l'altra da Walter Bonatti e Carlo Mauri. Entrambe dovettero rinunciare all'impresa per motivi logistici. Nel 1959, Bonatti e Mauri avevano preventivato un secondo tentativo, ma abbandonarono prima ancora di partire quando seppero che un'altra spedizione italiana, sempre guidata da Maestri, era partita prima di loro.
La spedizione di Cesare Maestri (1959) comprendeva anche il fortissimo ghiacciatore austriaco Toni Egger e Cesarino Fava. Maestri ed Egger partirono all'assalto della vetta, mentre Fava rimase al campo per supporto. Dopo una settimana Maestri fu ritrovato in stato confusionale, e raccontò a Cesarino Fava che l'aveva soccorso di aver raggiunto la vetta il 31 gennaio insieme ad Egger, che era poi caduto durante la discesa portando con sé la macchina fotografica e quindi le prove del successo. La vicenda diede vita a numerose polemiche. Molte spedizioni tentarono di ripetere l'itinerario descritto da Maestri, ma senza riuscirvi; i resoconti riportavano da un lato notevoli discrepanze tra le descrizioni di Maestri e le caratteristiche effettivamente riscontrate sulle pareti, dall'altro la mancanza di tracce del passaggio della prima spedizione.
Maestri allora tornò, nel 1970, probabilmente più per la pressione e l'orgoglio ferito che per vera e propria volontà sportiva, e portò con sé un grosso martello compressore del peso di un quintale. Con l'aiuto di due compagni, per una nuova via di salita, trascinò il compressore, impresa di per sé immane, fin sotto il fungo di ghiaccio, lo utilizzò per piantare qualche manciata di chiodi a pressione in un punto completamente privo di appigli, arrivò una trentina di metri sotto alla vetta e sulla via di discesa spezzò tutti i chiodi, chiudendo così l'accesso alla sommità e lasciando il compressore appeso per sempre all'ultimo chiodo, cento metri più sotto: un gesto palesemente sprezzante e polemico. Al ritorno dichiarò in segno di sfida di avere nuovamente vinto il Torre: il fatto però di non avere salito il fungo di ghiaccio finale, e di non essere quindi stato sulla vetta vera e propria, non fece altre che aumentare dubbi e polemiche tra i suoi avversari. Maestri venne questa volta accusato di non aver vinto con mezzi leali ed anzi, di non avere vinto affatto. Non solo: nessuno riuscì a spiegarsi perché Maestri avesse voluto sfidare i suoi denigratori salendo per una via nuova, piuttosto che ripetere quella contestata del '59, né lui fu mai chiaro in proposito. La via del compressore (detta anche via Maestri o Compressor road) fu ripercorsa nel 1979 dall'americano Jim Bridwell che riscontrò che i chiodi lasciati dalla spedizione del 1970 s'interrompono a 30 metri dalla cima, appunto sotto il fungo terminale.
Nel 2005 Ermanno Salvaterra, uno dei maggiori conoscitori del Torre (cinque ascensioni compresa la prima invernale nel luglio 1985), fino ad allora sostenitore di Maestri, ripercorse la via di Maestri del '59 e insieme ad Alessandro Beltrami e allo scalatore argentino Rolando Garibotti riuscì a raggiungere la cima. Non solo lungo la via non trovò alcuna traccia del passaggio di Maestri, ma si dovette arrendere all'evidenza che la via descritta dallo stesso Maestri, semplicemente, non esiste: il tracciato e il terreno non corrispondono affatto a quanto raccontato per oltre quarant'anni dal mitico Cesare e le contraddizioni fra quanto riportato nel resoconto originale del '59 e ciò che Salvaterra e compagni trovarono non si contano.
Oggi Salvaterra, il cui blog vi invito a leggere in quanto mi pare una persona davvero fuori dal comune, in senso buono, non crede più a Maestri e lo scontro con il vecchio alpinista è arrivato addirittura davanti agli avvocati. Salvaterra, peraltro, è tutt'altro che solo. Nel 2004 Garibotti, che proprio insieme a Salvaterra aveva compiuto la salita del 2005, ha pubblicato sull'American Alpine Journal un lungo e documentato articolo-indagine mirato a smontare definitivamente la verità di Maestri e riportando alla ribalta l'annosa vicenda. E a buttare benzina sul fuoco è arrivato infine nientemeno che il grande Reinhold Messner, che tutti conoscerete, con il suo libro del 2009 “Grido di Pietra - Cerro Torre, la montagna impossibile” dove a sua volta pur con la massima ammirazione per quello che, non dimentichiamolo, Maestri è stato per l’alpinismo italiano, dimostra (cito) “prove alla mano, come si fa in tribunale, che Maestri e Egger non raggiunsero la cima del Torre nel 1959. Per quanto riguarda la seconda salita, quella del compressore, è stato lo stesso Maestri ad ammetterlo. Quando gli chiesi se aveva raggiunto la cima, mi rispose con grande sincerità che per lui ”la montagna finisce là dove finisce la roccia”. Il problema è che il Torre è sovrastato da un fungo di ghiaccio alto oltre 400 metri pari cioè, grosso modo, alla parete nord delle Cime di Lavaredo. Difficile a queste condizioni poter sostenere di essere il primo salitore. Il primo a mettere i piedi là sopra fu infatti un ragno di Lecco, Casimiro Ferrari. Lo dimostrano le foto di vetta. Che nel caso di Maestri non esistono”.
Sembrerebbe dunque che la prima ascensione indiscussa del Cerro Torre sia quella compiuta il 13 gennaio 1974 da una spedizione del gruppo dei Ragni di Lecco; in quell'occasione giunsero in vetta Daniele Chiappa, Mario Conti, Casimiro Ferrari e Pino Negri.

Ma il Grido di Pietra uccide ancora: il primo gennaio di quest’anno è morto lo scalatore trentino Fabio Giacomelli che voleva portare sulla cima del Torre le ceneri di quel Cesarino Fava, compagno di Maestri nel ’59, suo salvatore e che sempre l’aveva difeso.

La foto, tratta dal sito di Salvaterra, mostra la via del 2005, El arca de los vientos.

venerdì 19 marzo 2010

L'articolo di Massimo P. dedicato ai "freddofili"

I cinque gioielli della grande neve

(ovvero: Un grande inverno in 10 capitoli)

Questa è una cronaca a caldo, a poche ore dall’ultimo grande evento nevoso, che vuole ripercorrere col ricordo le continue emozioni provate durante quattro splendidi mesi di un inverno fra i più grandi degli ultimi decenni, un inverno che non è esagerazione definire storico, un inverno di cui si parlerà ancora molto negli anni futuri: e così come si ricordano il '29, il '56, il '63, l'85, sicuramente un posto importante nella memoria di ognuno di noi verrà occupato anche dal 2009/2010.

E’ un racconto fatto di ricordi e di emozioni, quindi, non di analisi statistico-matematiche e di carte meteorologiche: per queste analisi ci vorrà più tempo e saranno necessarie persone più esperte del sottoscritto. Persone che non mancheranno di dire la loro nei prossimi giorni, quando sarà tempo di bilanci.

Fatta questa doverosa premessa, è tempo di iniziare il nostro racconto:


Capitolo 1: l’attesa


Dopo un autunno non particolarmente entusiasmante ed un lungo blocco anticiclonico che ha caratterizzato tutta la seconda quindicina di novembre, ai primi di dicembre la situazione finalmente evolve e dopo alcune perturbazioni atlantiche, le carte intravedono finalmente l’arrivo del primo vero freddo invernale. accompagnato dalle prime nevicate.

Ed eccoci infatti arrivati al 14 dicembre, quando la prima neve della stagione imbianca le nostre contrade.

Continue spolverate cadono un po’ tutti i giorni fino al 17, con qualche centimetro d’accumulo. Niente di eccezionale, ma c’è da essere comunque molto soddisfatti: è pur sempre una discreta nevicata, dopo anni di magra. E poi, l’inverno è appena iniziato, ma soprattutto le carte intravedono, già per il 18, una ben più appetitosa situazione da neve



Capitolo 2: il primo gioiello della grande neve (una nevicata d’altri tempi)


L’attesa è spasmodica: troppe volte le carte sono cambiate all’ultimo istante trasformando l’attesa della neve in una grande delusione, ma stavolta questo non succede: ad ogni emissione le mappe confermano, anzi ulteriormente migliorano, fino all’ultimo fantastico responso nel pomeriggio di venerdì 18 dicembre: ELBA LOW !!

Torno a casa venerdì sera a bufera già iniziata, appena in tempo, prima che le strade diventino impraticabili. Passo la serata fra la finestra e il PC a godermi la nevicata sempre più intensa e con una temperatura sempre più da favola.

Quando salta la luce vado letto. Sabato mattina, al risveglio, il paesaggio è incantevole: nevica ancora, ma il grosso si è già depositato; la temperatura scesa è fino a –4.1: un sogno.

Esco di casa: la scala esterna è coperta da una spesso manto di soffice neve. La neve secca e farinosa ha ricoperto tutto, anche gli angoli più riparati. Col metro misuro lo spessore: 30 fantastici centimetri.

La prima cosa da fare è immortalare lo splendido paesaggio: in pochi minuti esaurisco la memoria della macchina fotografica digitale.

La seconda cosa da fare è spalare: compito ingrato per la mia schiena malandata, ma stavolta non mi accorgo nemmeno di far fatica, tanto la neve è soffice e leggera.

Le ore, i giorni che seguono la fine della nevicata sono storici: minime eccezionali a due cifre come da anni non si vedevano, massime che rimangono ben lontane dagli zero gradi, temperature che già dopo il tramonto precipitano sotto i –10, freezing fog e sontuosa galaverna.

Ma la musica purtroppo è destinata a cambiare ben presto: la gioia prodotta da queste splendide giornate di freddo e neve è offuscata dalle ignobili mappe previsionali relative al periodo natalizio



Capitolo 3: la grande scaldata


Preceduta da un fenomenale gelicidio inizia la terribile scaldata di Natale, quando l’Europa è investita da isoterme che che si vedono solo in piena estate.

Il disgelo è rovinoso, le temperature raggiungono valori abominevoli proprio la vigilia ed il giorno di Natale (fino a +20 in Romagna), la neve si scioglie in un baleno.

Sembra già finita dopo che era appena cominciata, ma per fortuna dopo Natale le mappe riprendono darci un po’ speranza nel ritorno del freddo per i primi di gennaio



Capitolo 4: il secondo gioiello della grande neve (il ritorno della dama)



La neve finalmente ritorna il 5 gennaio, in tempo per l’appuntamento tradizionale dell’Epifania (la cagadeina d’la Vecia: è un diffuso modo di dire tradizionale e pittoresco nelle campagne ad ovest di Bologna). Nevica dalla sera del 5 fino alla mattina del 6. Superbo il paesaggio nel giorno della Befana.

Una decina di centimetri belli secchi e farinosi.

Bentornata, dama !



Capitolo 5: interludio



Finiscono le feste natalizie e lo scenario cambia nuovamente: inizia un periodo di transizione, non particolarmente entusiasmante, ma che comunque rientra nella tradizione meteo di gennaio.

Il tutto però coincide con una nuova cocente delusione: un potente nocciolo d’aria artica, che sembrava dovesse giungere sull’Italia portandoci nuove godurie nevose, all’ultimo momento devia su Francia e Spagna lasciandoci con l’amaro in bocca.

E mentre da noi il tempo diventa mite e piovoso, i nostri cugini latini sono sommersi da freddo e neve storici.

Ma un contentino c’è anche per noi: dal 19 al 21 gennaio, grazie all’inversione, abbiamo tre fantastici ed inattesi giorni di ghiaccio, con nebbia ed un po’ di galaverna.

Insomma, nonostante tutto, l’inverno c’e’ ancora.

Ed alla fine, il Generale torna e ricordarsi di noi……



Capitolo 6: il terzo gioiello della grande neve (tornano le bianche truppe del Generale)



La terza decade inizia in modo elettrizzate: giorno dopo giorno le carte ci fanno sempre più sognare:

ed alla fine il sogno s’avvera.

Comincia a nevicare nella mattinata del 26 gennaio.

Neve dapprima debole, lenta, poi sempre più forte e convinta.

E di sera/notte è bufera.

E di mattina ci sono 15 cm. nuovi di pacca ed un paesaggio nuovamente fiabesco



Capitolo 7: il quarto gioiello della grande neve (la tempesta di S.Geminiano)



Stavolta non c’è tempo per rifiatare; la neve caduta non fa in tempo a sciogliersi che già si profila una nuova stupenda nevicata.

A dire il vero, fino all’ultimo non si ha un’idea troppo chiara di quanta neve potrà venire e le ore di sabato 30 passano nell’incertezza, ma domenica 31 gennaio quando apro la finestra è apoteosi bianca.

Il vento ulula fra le connessure degli scuri, la neve polverosa è sollevata dalla tempesta in un potente scaccianeve,.ma per il momento l’accumulo è modesto.

Le notizie e le foto da internet fanno invece vedere l’incredibile precipitazione a falde larghe in corso nel Modenese.

Ho un po’ d’invidia e un po’ di delusione, nonostante la tempesta urlante e il paesaggio artico l’accumulo stenta ad aumentare.

Questa situazione, tuttavia, dura molto poco: il nucleo modenese arriva finalmente anche da me e in 2-3 ore di violenta tormenta con neve praticamente orizzontale si depositano 22 cm.

Di sera fa in tempo a rasserenare senza un grande scioglimento e subito la temperatura piomba sotto i –10.

A Modena la tempesta provoca l’annullamento di tutte le manifestazioni previste per la festa del Santo Patrono.

Nei 2-3 giorni successivi rivediamo le gelide minime a due cifre che avevano allietato dicembre.

Ed intanto inizia febbraio…, ma febbraio delude.



Capitolo 8: la grande delusione


Quando martedì sera 9 febbraio, a meno di 12 ore dall’evento, le mappe ci danno l’ennesima conferma siamo ormai sicuri: ci aspetta un’altra goduria nevosa da 30-40 cm.

Ed invece…

Mercoledì comincia a nevicare molto presto, prima del previsto e già alla partenza è subito neve, non acqua. Sembra che tutto cominci nel migliore dei modi.

L’attesa per il pomeriggio, quando dovrebbe cominciare il grosso della nevicata, è spasmodica, un nuovo grande evento è pressoché sicuro.

Ma il grande evento non si verifica: passano le ore e la neve non aumenta, anzi diminuisce, poi vira addirittura in pioggia.

Ormai i peggiori timori diventano certezza: qualcosa è cambiato all’ultimo minuto; l’aria fredda non è arrivata, è rimasta troppo a nord o troppo ad ovest, producendo un minimo troppo sfavorevole per noi.

La delusione è profonda, totale.

Ma questo inverno è comunque diverso dagli altri: anche quando delude un contentino ce lo dà comunque.

Ed allora ecco che nella notte fra lì11 e il 12 febbraio cadono 5-6 cm. di neve.

La mattina di venerdì 12 febbraio il paesaggio torna ad essere bello e suggestivo, da cartolina natalizia: anche febbraio ha dato il suo contributo a questo grande inverno, ma si è trattato di un modesto contributo.



Capitolo 9: la falsa primavera


Febbraio prosegue su binari anonimi e la fine del mese è anzi caratterizzata dai primi tepori primaverili.

Ormai l’inverno sembra archiviato, gli abiti più pesanti vengono riposti negli armadi, si pensa al risveglio primaverile, alle prime fioriture degli alberi più precoci.

Ma il Generale non ha ancora alcuna intenzione di smobilitare; dalla sua roccaforte dell’Europa Nordorientale prepara le truppe per un nuovo, poderoso assalto.

Personalmente, in quei gironi d’attesa, ravviso molte analogie con la situazione che precedeva il marzo 1976, un grande marzo di neve. Vuoi vedere che…..



Capitolo 10: il quinto gioiello della grande neve (l’apoteosi finale)



Come in uno spettacolo di fuochi d’artificio che si conclude con una grande fantasmagoria di luci seguita dal grande botto finale, così è la pirotecnica conclusione che ha in serbo per noi il generale inverno.

Ancora una volta le carte da sogno vengono sempre più confermate ad ogni emissione e mai smentite.

Sembrano carte esagerate, perfino troppo belle: è meglio andare cauti, la delusione di febbraio è ancora troppo recente.

Ed invece la delusione non c’è, anzi….

Dopo un antipasto nella giornata del 5 marzo (3-4 cm. nel Modenese, fiocchi altrove), martedì 9 marzo, con una bora urlante che ormai imperversa da 2-3 giorni, incomincia a nevicare.

La sera è blizzard artico e mentre in pianura per ora la neve finissima impedisce grandi accumuli, le notizie che ci pervengono dalla pedemontana e soprattutto dalla prima collina sono impressionanti. lì la precipitazione è colossale e l’accumulo cresce a vista d’occhio.

Solo in tarda serata il grosso della tempesta si abbatte anche sulla pianura bolognese (quella modenese è già messa meglio da alcune ore) e la mattina dopo il paesaggio è grandioso.

Nel mio cortile misuro 30 cm. di neve, ma nelle dune accumulate dal vento si arriva anche a mezzo metro. Verso il modenese gli accumuli sono anche maggiori. ma sono la pedemontana e la collina a scrivere la storia:. a seconda delle località si parla di 70-80 cm. Ma ci sono voci che dicono che sul bellissimo altopiano di Tolè si sono registrati accumuli fra 90 e 130 cm.

E’ il trionfo finale, la degna e perfetta conclusione di un inverno destinato a passare alla storia.

Nota personale: troppo bello per lasciarlo solo come link ... ;-)